Corriere del Mezzogiorno (Campania)
LE VERITÀ SPIACEVOLI DEI GUFI
Otto studi in cinque anni, pubblicati da esperti vulcanologi su riviste scientifiche, ci hanno raccontato del movimento in atto nella caldera del sottosuolo flegreo, definito più pericoloso del Vesuvio, eppure ad oggi qual è lo stato del dibattito sul tema? Non tanto da un punto di vista scientifico — perché per quello bisognerebbe che a parlare fossero gli esperti — ma almeno in termini di prevenzione e sensibilizzazione, quindi a livello sociale e politico. Facile rispondere: non c’è alcun dibattito. Rispetto a questo tema, infatti, pare che governanti e governati siano perfettamente d’accordo, come ormai è sempre più raro che accada. In questi anni, a chi ha provato ad affrontare la questione con serietà e senza allarmismi, è capitato spesso di finire bollato come scocciatore o, peggio ancora, iettatore. Di conseguenza sporadiche e annoiate risposte sono giunte tanto dalla politica quanto dall’uomo della strada, tutte oscillanti tra fatalismo e rassegnazione, disinteresse e superstizione. Buia è quell’era in cui gli studiosi, in virtù delle loro conoscenze, finiscono messi all’angolo e bollati come gufi. Così come lo è quella che fa della comunicazione scientifica un mezzo con cui sganciare «bombe» solo ai fini di qualche migliaio di clic. Ovviamente è facile comprendere il perché la classe politica preferisca impegnarsi nell’organizzazione di concerti di piazza e festival gastronomici, senza concentrarsi su una questione invero fondamentale.
I piani di evacuazione, le analisi dei rischi e i progetti costano, mentre la cultura contrabbandata sottoforma di evento è un oppio dei popoli facile da somministrare e molto più redditizio in termini elettorali. E siccome viviamo in un’epoca in cui le scelte di governo sono tutte orientate al presente, non è difficile capire quanto il sottosuolo flegreo desti poco o nessun interesse per un ceto di governanti abituato a trattare con gli elettori promettendogli (quando va bene) una frittura di pesce. Molto più indecifrabile è, invece, la risposta dell’opinione pubblica. Purtroppo anche qui scontiamo lo spirito dei tempi.
In un’epoca in cui siamo sommersi da bufale e notizie riportanti l’ultimo clamoroso studio scientifico dell’università tal dei tali sull’argomento tal dei tali, il pericolo di essere assuefatti ai ripetuti allarmi che ogni giorno paiono arrivare dalla comunità scientifica (o presunta tale) è insistente. Allo stesso tempo è impossibile non sottolineare una paurosa indifferenza della popolazione campana, incapace di osservare con occhio realmente critico l’operato di chi certi nodi dovrebbe affrontarli per mestiere. Non dico che siamo i soli a trovarci in questa condizione, ma di certo la nostra situazione è tra le peggiori. Anche perché quest’atteggiamento poco incline a pretendere risposte dalla politica, è causa di molti dei problemi che rendono oggi il vivere da queste parti un’impresa ai limiti della sopportazione.
Visti in questo modo, i rischi possibili della caldera dei Campi flegrei sono solo l’ennesimo portato di uno sfaldamento del tessuto sociale e conoscitivo che a molti conviene resti il più possibile a lungo così. Tanto per fare un esempio: l’anno scorso, all’idea che il Salone del Libro di Torino fosse spostato a Milano, nel capoluogo piemontese si arrivò quasi a una sommossa popolare. E in generale altrove, per questioni meno significative di un vulcano dal potenziale distruttivo enorme, la gente si mobilita, crea gruppi di pressione, scende in piazza, chiede conto a governanti e scienziati di ciò che hanno fatto o non hanno fatto. Invece, dalle nostre parti, ecco che gli studiosi diventano gufi e i giornalisti seri rompiscatole da emarginare nel segno di un progetto politico e sociale votato all’edonismo. E come al solito a rimetterci, tra gli estremi dell’indifferenza e dell’allarmismo, sarà la necessità di organizzarci in maniera ragionevole per rispondere a pericoli forse non imminenti ma in ogni caso ineludibili.