Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«Blind vision», l’arte si fa strada al «Colosimo»
Sbrigativamente diciamo neri, verdi, marroni o azzurri. Ma gli occhi sono unici perché almeno duecentocinquanta sono le gradazioni all’interno dell’iride.
Un’unicità misteriosa, affascinante, perfetta per quell’indagine che Annalaura di Luggo da tempo va conducendo. Perché se l’essere umano è unico e irripetibile e ineguagliabile è il modo in cui ognuno di noi percepisce il mondo, niente meglio dell’iride ce lo ricorda. È una delle ragioni per cui ha scelto l’iride come protagonista delle sue fotografie. Che non si limitano a ritrarre alla perfezione il particolare anatomico. È la soggettività della percezione umana che l’artista (napoletana, classe 1970) immortala con una macchina fotografica, da lei costruita e brevettata, che è poi il tema di «Occh-IO/Eye-I», il progetto presentato in giro per il mondo. Ora è la volta di «Blind Vision», la mostra allestita nell’Istituto Paolo Colosimo per ciechi e ipovedenti, curata da Raisa Clavijo, che esplora gli occhi di venti persone affette da disabilità visiva. Come «vedono» il mondo i non vedenti? Come sognano? Che differenza c’è tra chi ha perso la vista e chi non l’ha mai avuta? Prima dei ritratti, Annalaura ha dialogato a lungo con i suoi soggetti per esplorare, attraverso approcci fisici e tattili, l’universo interiore di quegli individui che per percepire il mondo usano sensi alternativi alla vista e i colloqui sono il plot del documentario omonimo in mostra, diretto da Nanni Zedda, che è stato proiettato ieri al Colosimo nel corso di una serata organizzata con il sostegno di Credem, in cui i visitatori sono stati condotti dai non vedenti all’interno dell’installazione, prima di assistere alla proiezione del cortometraggio. Poi una breve presentazione del progetto: sul palco del bellissimo teatrino del Colosimo, con l’artista, Mario Miraglia della Uic, il padrone di casa Antonio Cafasso, Mirella Armiero del «Corriere del Mezzogiorno» e Alessandro Collina di Credem. «Ho scelto di calarmi nella dimensione dei non vedenti racconta l’artista - per cercare di capire cosa si provi ad avere il buio davanti». Il risultato sono enormi iridi luminose, venti light box che riproducono la forma dell’iride di ognuno dei protagonisti e che, al buio, si accendono e spengono a turno. Ogni light box si illumina per qualche istante e narra, attraverso la voce di ogni soggetto, frammenti di storie personali. Durante la serata è stata lanciata una proposta: fare del Colosimo un museo per non vedenti.