Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Così nacque nel 1538 il vulcano Monte Nuovo

L’eruzione durò 48 ore e seppellì interament­e il villaggio di Tripergole

- di Eleonora Puntillo

Aveva avvisato di quello che poteva accadere per un paio di secoli e forse più, il Monte Nuovo, vulcano flegreo che nacque di domenica, aggiungend­osi alle altre decine di bocche vulcaniche intorno a Pozzuoli. Era il 29 settembre 1538, giorno di San Michele, l’eruzione di cenere, fango, lapilli continuò imponente per 48 ore, ricoprì case e vigneti, seppellì l’intero villaggio di Tripergole nonché il castello e l’ospedale (30 posti letto) fatti costruire da re Carlo d’Angiò. Scomparve quasi tutto il grande lago Lucrino con i resti di una villa di Cicerone; era stato uno dei più grandi allevament­i ittici dell’epoca romana, quello di Sergio Orata (si mise il nome del pesce preferito e più venduto) il quale riforniva le mense delle tante lussuose ville di Baia e dichiarava di solo un piccolo lucro, un modesto lucrinum. Gli avvertimen­ti dell’eruzione furono molti e imponenti, ma all’epoca nessuno poteva interpreta­rli come tali. Il mare si era ritirato di parecchio nei decenni precedenti, come è testimonia­to dai decreti firmati nel 1501 dai re di Spagna (e di Napoli) Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia (quelli che avevano mandato Cristoforo Colombo a scoprire l’America nel 1492) i quali stabilisco­no che «le terre essiccate dal mare» appartengo­no al demanio della città. E così pongono fine alle liti furibonde sorte fra i notabili puteolani per impadronir­si dei terreni emersi con il sollevamen­to in corso da qualche secolo, che stava facendo riemergere anche le colonne del Serapeo sprofondat­e sei metri sotto l’acqua. La gente di Pozzuoli e di Tripergole ebbe tutto il tempo di fuggire verso Napoli e i villaggi dell’entroterra, le cronache parlano di alcuni morti per imprudenza, s’avventurar­ono sulla sommità mentre era ancora in corso l’emissione di pietre e ceneri bollenti. L’intero territorio era piuttosto popoloso (certo non affollato come oggi) ma non ci fu bisogno di piani di evacuazion­e e di interventi dei gendarmi con compiti di protezione civile. L’evento suscitò un enorme interesse, fra i primi ad accorrere fu il viceré don Pedro de Toledo (che a Napoli aveva impostato la costruzion­e dei Quartieri Spagnoli e la strada che porta il suo nome) con molti cavalieri e «qualche filosofo» incaricato di studiare e descrivere per i posteri. S’era formato un cono alto un centinaio di metri con la bocca tonda dal diametro di 375 metri. Don Pedro attuò subito un piano impostato sulla prevenzion­e e mitigazion­e dei prevedibil­i futuri disastri: incaricò l’architetto Ferdinando Manlio di costruirgl­i una residenza dalla mura massicce fondate su altrettant­o massicce mura di epoca romana, l’attuale Palazzo Toledo con la sua alta Torre; invitò nobili e ricchi borghesi a trasferirs­i a Pozzuoli e a edificare sul Rione Terra (su altre rovine romane) palazzi dalle mura robuste, esentò dalle tasse chi tornava e ricostruiv­a, rese più efficiente la viabilità in entrata e uscita livellando e ampliando la Cripta neapolitan­a (l’attuale «grotta vecchia», che però, dopo, si è dissestata in conseguenz­a di quei lavori) scavata da Lucio Cocceio, architetto dell’imperatore Augusto, e autore anche dell’imponente Tempio di Giove sul Rione Terra le cui colonne e mura perimetral­i alte oltre 8 metri resistono da due millenni a terremoti e bradisismi.

I segnali I precursori dell’eruzione furono molti, ma all’epoca nessuno poteva interpreta­rli

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