Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Napoli esclusa dalla via della seta e lo strano silenzio delle istituzioni
La Cina ha investito, e investirà, miliardi sulla nuova via della seta, finanziando lo sviluppo infrastrutturale di Paesi stranieri per favorire la circolazione delle sue merci. Nei giorni scorsi il presidente del Consiglio italiano e il presidente cinese hanno annunciato che anche il sistema portuale italiano sarà parte del progetto: i porti di Genova e Trieste dovrebbero diventare le porte d’accesso delle merci cinesi in Europa. Napoli e il suo porto sono fuori, verrebbe da dire come al solito, da questa strategia di sviluppo nazionale.
Ho finito di leggere da qualche giorno La nuova geografia del lavoro, il saggio dell’economista di Berkeley Enrico Moretti che Forbes definì il più importante libro di economia del 2013. Il libro si occupa delle ragioni per le quali in pochi decenni alcune tra le città più importanti e prospere degli Usa sono entrate in una crisi profonda.
E altre sono rapidamente diventate il centro della nuova geografia economica.
La tesi è questa. La crescita economica di una città è dovuta alla concentrazione nel suo territorio di imprese innovative, perché queste generano posti di lavoro di qualità e tendono a stare tutte nello stesso posto. L’esempio virtuoso, natural-mente, è la Silicon Valley, dove tutte le aziende più innovative tendono a stabilirsi, creando così un circolo virtuoso di crescita che si autoalimenta. L’esempio di città decadente è quello delle vecchie città della cosiddetta rust belt, le città dove si producevano le automobili, che negli anni ’50 e ’60 erano considerate l’equivalente di quello che è oggi San Francisco con la sua valle, perché erano il centro dell’industria più innovativa. Secondo Moretti, consulente di Obama proprio per il recupero delle vecchie città industriali in crisi, la distanza economica tra le città americane tende ad aumentare sempre più velocemente: le città più attrattive per l’industria innovativa diventano sempre più prospere, le altre sem pre più povere. Si tratta di una tendenza che sta arrivando anche in Europa e, in effetti, qualche segnale sembra esserci anche solo guar dando all’Italia, dove Milano sembra fare sempre più storia a sé rispetto al resto del Paese. Per invertire la tendenza, la soluzione è quella di provare a rendere una città e il suo territorio attrattivi per un certo tipo di aziende, le quali così tenderanno a con centrarsi lì, costituendo un cluster capace di avviare il circolo virtuoso che ho cercato di sintetizzare.
Calando queste riflessioni sulla realtà napoletana, mi è venuto in mente ancora una volta il porto, escluso dall’accordo tra Italia e Cina sulla nuova via della seta, a beneficio di Trieste e Genova. Suppongo che nessuno ipotizzi che a Napoli possa crearsi un cluster di imprese tecnologiche sul modello della valley di San Francisco e mi auguro che nessuno immagini che il nostro cluster siano le pizzerie, che sono sicuramente un pezzo importante e nobile dell’economia cittadina, ma non possono bastare. L’unica vera leva che la città avrebbe per provare a invertire una tendenza che, nella dinamica descritta da Moretti, ci vede naturalmente dal lato di quelli che stanno scivolando all’indietro, mi sembra sia lo sviluppo del porto come hub della logistica per le merci che, in arrivo dall’oriente, devono andare in Europa. In un’intervista di qualche giorno fa al Corriere, l’amministratore delegato di Intesa San Paolo diceva che vede segnali di ripresa economica significativi e che il sud del Paese potrà crescere molto, diventando la principale piattaforma logistica d’Europa. Se così è, la porta di quella piattaforma non può che essere il porto di Napoli e non si comprende per quale ragione il Governo non abbia ritenuto di puntare su Napoli, né tantomeno perché le istituzioni locali non facciano sentire la propria voce, magari per una volta con una posizione unica e chiara. I soli a farsi sentire sono stati gli imprenditori, con l’unico risultato di una risposta arrendevole del presidente dell’Autorità portuale, il quale dice che Napoli e Salerno non possono ambire a un ruolo centrale nella rete globale di trasporto delle merci ma devono accontentarsi di un ruolo locale. Non si capisce, perché non viene spiegato nella lettera del presidente Spirito, per quali ragioni i porti del Tirreno meridionale non possano avere un ruolo centrale, a maggior ragione se, come dice il capo della prima banca italiana, la strategia di sviluppo del Paese dovrebbe puntare sul meridione come polo logistico. La scelta del Governo è sbagliata e va contestata dalla Regione e dal Comune, perché lo sviluppo dei traffici portuali può creare intorno a sé quella concentrazione di aziende, in un settore decisivo come la logistica, che può invertire la tendenza, restituendo a Napoli un ruolo economico nazionale ed europeo e non ripiegato su se stesso come, purtroppo, sembra nelle intenzioni degli organi governativi che amministrano il porto e ne definiscono le strategie.
A rischio di sembrare eccessivo, credo che le decisioni che si stanno prendendo ora siano destinate a segnare il destino dell’economia cittadina dei prossimi decenni, per cui è dovere di tutti, e delle istituzioni rappresentative in primis, dare battaglia perché il porto di Napoli abbia un ruolo centrale nella nuova geografia portuale, per sperare che in futuro la città possa guadagnarne uno nella nuova geografia del lavoro.