Corriere del Mezzogiorno (Campania)
L’esponente di M5S: «La Campania è guidata dal giglio magico di De Luca» Di Maio: «Su Boldoni andremo fino in fondo Il sindaco de Magistris? Un finto grillino»
«La Campania ora è governata dal giglio magico di De Luca»
«La Campania è il mio grande rammarico politico, potevamo vincere per cambiare davvero le cose, per spezzare questo blocco di potere che lavora in continuità. E sul caso Boldoni andremo fino in fondo». Così Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera, intervistato dal Corriere del Mezzogiorno.
La riforma della giustizia, con la stretta sulle intercettazioni, «è una vendetta» dopo il caso Consip. E poi, la guerra tra le Procure di Roma e Napoli, il giglio magico esportato in Campania con il «caso Boldoni», la promessa mancata del reddito di cittadinanza a Napoli. Il vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio, si sposta da Roma nei comuni dove si vota «ma è una campagna elettorale molto sotto tono». I tempi non sono dei migliori, d’altronde.
L’intercettazione — ha scritto Antonio Polito nel suo editoriale di ieri sul Corriere della Sera — si presta alla bisogna, perché consente sentenze immediate nell’opinione pubblica, mentre il processo si avvia con le sue pachidermiche movenze. È questo il motivo per cui siete contrari a una riforma del processo penale?
«L’unica cosa che otterranno dalla riforma è peggiorare i processi. La riforma non blocca la prescrizione e toglie risorse per le intercettazioni. Magari ci sarà qualche telefonata ascoltata in meno dei politici, ma anche di quelli sotto inchiesta per mafia e corruzione».
Ma secondo lei una riforma della giustizia non è una urgenza del Paese?
«Certo, ma questa non è una riforma, è una vendetta. Orfini è uscito allo scoperto. Il problema è quello che ci si dice al telefono, non quello che viene fuori».
Converrà però che in Italia circolano troppe carte. Se una telefonata non è penalmente rilevante non dovrebbe neanche essere messa agli atti o uscire dagli uffici giudiziari?
«Matteo Renzi e il padre parlano del caso Consip non dei loro problemi personali. E ci sono telefonate, incontri, che, a prescindere dalle inchieste, hanno una valenza politica. Quello che esce fuori nell’ambito di un’inchiesta ci spiega già molte cose: ci dice se ci sono comportamenti morali o immorali e su quello è giusto che ci si interroghi e ci si indigni».
Tutta questa indignazione a chi fa bene se non al Movimento 5 Stelle?
«Per la verità questo caso ha aiutato a far capire ancor meglio come è fatto Renzi. E comunque in questo momento ciò che si produce è allontanare i cittadini ancor più dalle istituzioni. La stragrande maggioranza degli italiani non ha problemi con le intercettazioni». Non ha neanche ruoli pubblici però. «Vero. Tanto più che la riforma non sta affrontando il nodo della certezza della giustizia. Anche se dovesse passare, risolverebbe un problema ai politici non certo agli italiani. E poi chi pubblica le intercettazioni si assume già le responsabilità del caso davanti alla legge, dunque non capisco a cosa servirebbe una stretta, se non, appunto, a chi non vuole che le intercettazioni vengano fuori».
Intanto è in atto uno scontro tra Procure che non giova al clima già poco disteso.
«Personalmente penso che lo scontro raccontato sia più una ricostruzione giornalistica che la realtà. Piuttosto ricordo che il capo della Procura da cui è partita l’inchiesta Consip è stato mandato in pensione con una norma contra personam: parlo del procuratore di Napoli Giovanni Colangelo. Noi abbiamo denunciato il caso. L’inchiesta Consip ci ha fatto capire un sacco di cose. Tutti i soggetti coinvolti sono ancora ai loro posti. Un governo serio avrebbe dovuto cambiare la governance, allontanare Lotti, tanto per avere il tempo di capire. Sull’operato dei magistrati non metto bocca, ma quella sulla Consip è un’inchiesta che nasce dal sabotaggio delle indagini, dalla scoperta delle cimici. Se c’è uno scontro tra Procure e se ci sono state eventuali irregolarità se ne occuperà il Csm. Ma la politica ha già strumenti su cui interrogarsi per poter intervenire».
Non crede che sarebbe utile velocizzare i tempi di nomina del procuratore di Napoli?
«È il Csm che deve valutare se a Napoli serve un procuratore subito. L’unica cosa che mi fa arrabbiare è la tendenza a fare leggi per colpire i magistrati che non piacciono come è accaduto nel caso Colangelo. Quello che mi indigna è aver paralizzato il Paese, per tenere in sella gli amici degli amici. Come in Campania, d’altronde».
Sta dicendo che c’è il «giglio magico» deluchiano?
«La Campania è il mio grande rammarico politico, potevamo vincere per cambiare davvero le cose, per spezzare questo blocco di potere che lavora in continuità. La Campania è ferma, nessuno fa un bilancio di questo governatore che amministra facendo battu- te. E il caso Boldoni e’ emblematico di questo circolo fatto di amici degli amici fedeli e mai scelti in base a una competenza vera, nel caso specifico inoltre si tratta di una persona condannata per evasione fiscale».
Infatti, questo è un caso diverso da tutti gli altri.
«I nostri rappresentanti porteranno quel caso, come tanti altri, fino in fondo per arrivare alla verità, alle responsabilità politiche, ma di queste vicende se ne sentono una al mese. E i cittadini non percepiscono nessun cambiamento».
Si sente parlare molto del gruppo regionale del Movimento 5 Stelle, per nulla di quello comunale. Cos’è un patto di non belligeranza con de Magistris?
«Non scherziamo. Il problema dei nostri consiglieri comunali è che non hanno risorse per la comunicazione, fanno battaglia in consiglio comunale, credo che stiano facendo un ottimo lavoro mettendo in evidenza i limiti di un’amministrazione che al contrario sa solo comunicare, non cambiare. Ma se Napoli doveva essere governata con la comunicazione, ci avremmo messo un attore».
Oggi ci sarà la marcia per il reddito di cittadinanza. Un caposaldo del programma di de Magistris. Ma il punto è sempre lo stesso: un comune, lo Stato, dove trovano le risorse per la copertura di questa misura?
«Anche altri comuni in difficoltà finanziaria lo hanno fatto. Per esempio quelli governati dal Movimento 5 Stelle: Livorno, Pomezia, Castel Fidardo».
Ha citato centri che non sono proprio delle metropoli.
«Ma a parte il fatto che le risorse sono commisurate al numero di abitanti, se lo si vuole istituire, ci si riesce. Il problema è che bisogna diffidare della moda del reddito di cittadinanza. Volerlo significa ragionare per priorità, è un’operazione che richiede coraggio e libertà. Il punto è che in campagna elettorale ci fidiamo dei finti grillini. Finora gli unici ad erogarlo siamo stati noi. Quando ci siamo riusciti dopo due anni, Nogarin a Livorno ha avviato il concordato per la società dei rifiuti per permettersi il reddito di cittadinanza. A Napoli invece si tengono in piedi le società partecipate senza riorganizzazione. De Magistris non può più dire che aveva bisogno di tempo. Delle due l’una: o non lo vuole fare o non lo può fare. E ha mentito in entrambi i casi».
Ricordiamo che in Campania il reddito di cittadinanza è stato già testato senza grandi risultati.
«Quello di Bassolino è un brutto ricordo. Ma noi stiamo creando un reddito che liberi i cittadini dalle clientele e sia ancorato al diritto».
Alle amministrative siete presenti in pochi comuni, perché?
«Ci siamo presentati dove eravamo pronti con le liste. È una tornata elettorale sotto tono nonostante si voti in città importanti. L’appello in Campania è: liberiamoci dalla cappa politica dei signori delle tessere, dei ras locali, ai quali con il voto abbiamo dato importanza. Il diritto di voto è l’unico che ci è rimasto. Esercitiamolo».
Il gruppo al Comune I consiglieri fanno un ottimo lavoro ma non hanno risorse per la comunicazione Reddito di cittadinanza Il sindaco di Napoli non vuole o non può istituirlo. Annunciandolo ha mentito