Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«Aveva un cane che fu sepolto a Portici» Il poeta e Ranieri tra i misteri di Villa Zelo
«Guardi laggiù, sotto gli alberi dietro la chiesa. Proprio lì è sepolto Medoro, il cane di Giacomo Leopardi». Carlo Maria Francesco Arcari tende un braccio verso quello che fu il giardino di delizie di Villa Zelo a Portici, la dimora settecentesca in cui i suoi avi ospitarono il poeta recanatese insieme con l’inseparabile Antonio Ranieri. Quasi duecento anni dopo, le ultime pagine napoletane dell’esistenza del giovane favoloso restituiscono ancora segreti.
Via dell’Addolorata è una stradina stretta e tortuosa, lontana dal caos cittadino. La villa di vacanza dei baroni Zelo sorge qui sulla collina di Bellavista, lontana dal traffico caotico cittadino, come sospesa in una dimensione temporale assoluta che ne proietta l’antica bellezza ai giorni nostri, nonostante le vistose rughe del tempo e l’assalto della speculazione edilizia.
Come mai il possesso del cane riveste tanta importanza nella vita del genio di Recanati? Perché conferma la tesi del professor Gaspare Polizzi dell’Università di Firenze, secondo il quale negli ultimi anni il poeta avrebbe maturato una formazione animalista assai profonda, tanto da esprimere «una inequivoca partecipazione alle sofferenze del mondo animale».
A raccontare a figli e nipoti la storia del cane di Giacomo era stata la nobildonna Maria Vittoria Lutgarda Zelo. «Religiosissima e di grande serietà, mai avrebbe mentito su una cosa del genere» dicono ora in villa. Un segreto familiare gelosamente custodito e trasmesso da una generazione all’altra. Fino a quando Carlo Maria quatto anni fa ha deciso di dare alle stampe un volume di memorie: «Villa Zelo e la storia dell’Ava». Pagine molto ben documentate e corredate da ricche iconografie, stampate in un numero limitato di copie dalla tipografia dei Fratelli Ariello e in gran parte regalate a parenti e amici. E così si può leggere che «nel parco della villa, sul lato sinistro della casa colonica, verso il laghetto Cremano, trova sepoltura il cane di Leopardi, Medoro». E già sembra di vedere il poeta in lacrime che insieme con il suo «Totonno» ricompone la bestiola in una cassettina di legno e la consegna al contadino per la sepoltura.
Oggi di quel parco resta ben poco. Fu venduto da una discendente dei baroni e frazionato tra diverse famiglie. Ma è stato miracolosamente dal cemento proprio il boschetto di lecci dietro l’antica chiesa dell’Addolorata. Semmai si decidesse di eseguire uno scavo bisognerebbe chiedere il permesso agli attuali proprietari, finora all’oscuro dell’arcano involontariamente custodito. «Magari si potrebbero trovare ancora dei resti – argomenta Paolo Arcari, fratello di Carlo Maria e docente universitario di chimica in pensione – è possibile che il cranio del cane, la parte più resistente non sia consunta».
Che Leopardi amasse gli animali è noto: un cagnolino allietava le giornate di sua sorella Paolina nel palazzo di Recanati. Ma che, al tramonto dell’esistenza, avesse goduto della compagnia di un quattro zampe è circostanza sconosciuta anche ai più accorsati studiosi del poeta co- me Fabiana Cacciapuoti, a lungo responsabile del fondo leopardiano della Biblioteca nazionale di Napoli e presidente del Centro mondiale della poesia di Leopardi; tra l’altro è stata lei a fornire la consulenza storica per il film di Martone. Anche Roberto Tanoni, responsabile del Centro nazionale di studi leopardiani parla di «una novità» e sottolinea poi come la predilezione per gli animali fosse già comparsa nell’infanzia di Giacomo dodicenne nei componimenti «A favore del gatto e del cane» e «I filosofi e il cane», arricchito quest’ultimo da un bel disegno a china di un quadrupede un po’ stilizzato. Persino la scelta del nome, Medoro, evoca uno dei poemi epici più amati dal poeta: l’Orlando furioso di Ariosto in cui il giovane saraceno ferito in battaglia viene soccorso e amato da Angelica.
L’accudimento del cane, sia pure occasionale visto che la coppia Ranieri-Leopardi cambiava casa di continuo, avrà certo giovato alla serenità di Giacomo. Quante volte si sarà trattenuto a giocare con Medoro? Impossibile rispondere con certezza perché sulla sua permanenza nella dimora porticese ci sono arrivate poche testimonianze. In effetti, al contrario di altri domicili ben descritti da Leopardi e Ranieri, nel caso di Villa Zelo sembra esserci stata da parte dei due amirisparmiato ci una particolare riservatezza. Forse perché quelle stanze, messe a disposizione dal barone Gennaro Zelo magistrato e avvocato massone di idee liberali, furono percorse da fremiti rivoluzionari. E frequentate da letterati e patrioti che erano già finiti nel mirino della occhiuta polizia borbonica.
È certo che Leopardi vi soggiornò in numerose occasioni. A testimoniarlo, oltre ad alcuni accenni nelle lettere di Ranieri, anche missive di amici coevi. Inoltre, la lapide apposta dai baroni Zelo nel 1968 ricorda che Antonio Ranieri si spense «in questa amena dimora dove trascorse gran parte della sua vita». Mentre su Leopardi sottolinea che «diletto amico in questo dolce, silenzioso, rifugio sovente (sic!) veniva a dividerne la solitudine». E dunque proprio in quello che definiva il «nostro casino in Portici» Ranieri, da vecchio senatore del Regno d’Italia, si ritirerà insieme con sua sorella Paolina, per trascorrervi gli ultimi anni di vita fino al 4 gennaio 1888 quando si spegnerà.
Qui tutto sembra ancora parlare di Antonio e Giacomo, soprattutto all’imbrunire quando la luce calante disegna strane ombre nel grande atrio, dove sin dal ‘700 due cani bianchi in marmo accoglievano il visitatore. Furono rubati molti anni fa insieme con il busto di Gennaro Zelo e due grandi medaglioni in marmo che riproducevano il sole e la luna. Simboli iniziatici, come le decorazioni sotto le volte del piano nobile dove è tutto un susseguirsi di ottagoni e stelle di Davide formate da due quadrati sovrapposti. In quegli ambienti Ranieri, ormai vecchio e ammalato, metteva mano al suo «Sette anni di sodalizio», che gli procurerà avversioni e antipatie facendolo apparire come un meschino approfittatore nei confronti del grande poeta. Invece, proprio tra i segreti di Villa Zelo spunta una verità diversa, tutta da raccontare.
L’antenata Fu Maria Vittoria Lutgarda Zelo a raccontare a figli e nipoti la storia di quell’animale da compagnia, lei era persona religiosa e di grande serietà, non avrebbe mai mentito
Il racconto Si chiamava Medoro, in omaggio a Ludovico Ariosto
L’area che fu scelta è nel verde alle spalle della chiesa dell’Addolorata
Una lapide apposta nel 1969 nell’androne ricorda che in questo silenzioso rifugio, il poeta recanatese, diletto amico di Ranieri, sovente veniva a dividerne la solitudine