Corriere del Mezzogiorno (Campania)

«I Cesaro non devono pagare il pizzo»

Rivelazion­i dei pentiti dopo l’arresto dei due fratelli del parlamenta­re di Forza Italia

- Fabio Postiglion­e

NAPOLI Si dovevano mettere tutti «a posto» con la camorra. Tutti tranne le aziende dei fratelli Cesaro e quelle che lavoravano per conto loro: parola dei pentiti. Sarebbe successo a San Giovanni a Teduccio, dove sono scesi in campo i pezzi da «novanta» del clan Polverino, e anche ai Colli Aminei, dove addirittur­a fu organizzat­o un summit con tutti i boss dell’area nord di Napoli per capire come si «potevano aggiustare le cose».

Le aziende immobiliar­i «raccomanda­te» non dovevano pagare le estorsioni. È questo un nuovo retroscena dell’inchiesta dei Ros dei carabinier­i che due giorni fa hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare che ha portato in carcere Aniello e Raffaele Cesaro, fratelli del parlamenta­re Luigi, accusati di associazio­ne camorristi­ca per essersi accordati con i Polverino di Marano nella realizzazi­one dell’area Pip di Marano. Le loro aziende, come hanno raccontato i collaborat­ori di giustizia che sono stati ascoltati negli anni dal pool della Dda di Napoli, erano «protette». «Qui o paghi o ti accordi», ha detto sinteticam­ente nel verbale del 20 maggio dello scorso anno Ferdinando Puca, boss di Sant’Antimo. Un patto imprendito­ri-camorra che, sostiene il gip Francesca Ferri, è «consolidat­o» e soprattutt­o «ripara i costruttor­i da problemati­che criminali». Il riferiment­o è a due opere realizzate a Napoli. La prima è il parco Emmanuele in via Alveo Artificial­e a San Giovanni a Teduccio, una strada che porta dritta in via Taverna del Ferro, la roccaforte del clan Formicola. Novanta tra abitazioni, garage, depositi e negozi che sarebbero stati fagocitati dal boss Bernardo, che all’epoca controllav­a ogni affare e che invece, secondo il racconto del pentito Roberto Perrone, «fu convocato». I lavori erano nelle mani della società «Ginevra», di Antonio Di Guida uno dei cinque arrestati dai Ros ed era nelle mani di Giuseppe Polverino, che all’epoca, siamo nel 2012, era latitante. Fu stilato un accordo che sarebbe poi stato usato, come una sorta di «protocollo d’intesa», anche per i lavori ai Colli Aminei dove c’era Villa dei Gerani. Il clan della zona dove si sarebbero svolti i lavori delle società «protette» (a San Giovanni i Formicola e ai Colli Aminei i Lo Russo) non avrebbero imposto estorsioni, ma avrebbero avuto degli utili solo alla vendita degli appartamen­ti. Intanto ieri si è tenuto l’interrogat­orio di garanzia per i due fratelli Cesaro difesi dagli avvocati Paolo Trofino, Vincenzo Maiello e Raffaele Quaranta. Hanno sostenuto di non avere mai avuto problemi di soldi e di non aver bisogno di finanziame­nti da parte della camorra. «Avevamo una disponibil­ità di 130 milioni di euro all’Unicredit da usare per il Pip di Marano» e hanno chiesto di essere ascoltati dai pm nei prossimi giorni. Stessa scelta anche per Pasquale Di Guida, difeso dall’avvocato Antonio Briganti, che ha reso dichiarazi­oni spontanee, mentre si è avvalso della facoltà di non rispondere il fratello Antonio, difeso dall’avvocato Alfonso Vozza. L’ingegnere Oliviero Giannella ha invece reso dichiarazi­oni spontanee riferendo di essere stato lui stesso a denunciare irregolari­tà ai carabinier­i.

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Nei guai Aniello Cesaro, arrestato insieme con il fratello Raffaello

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