Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Città della Scienza, premio dopo il rogo al custode piromane
Il gip: agì per rancore ma poi cambiò stile di vita
NAPOLI Dopo l’incendio di Città della Scienza, quando per i dipendenti arrivò la cassa integrazione, Paolo Cammarota, il custode condannato a sei anni per incendio e disastro dolosi, venne trattato con particolare «considerazione» dai vertici della Fondazione Idis: ricevette «un trattamento preferenziale rispetto ai colleghi nell’organizzazione dei turni di lavoro e soprattutto una retribuzione mensile in contanti, in modo riservato e all’insaputa dei suoi colleghi, negando poi questa circostanza agli inquirenti». Lo scrive il gip Maria Aschettino nelle motivazioni della sentenza, depositate nei giorni scorsi. Le «reali motivazioni» della «considerazione» in cui Cammarota era tenuto, aggiunge il giudice, «non sono state ancora accertate in modo inequivoco». Tutto questo appare ancora più strano perché, prima dell’incendio, Cammarota detestava i vertici della Fondazione (che, assistita dall’avvocato Giuseppe De Angelis, si è costituita parte civile e ha ottenuto un risarcimento). La compagna era stata licenziata a causa di alcuni ammanchi nella vendita dei biglietti, lui stesso era stato punito per ammanchi nel parcheggio, era stato escluso dalla cassa integrazione e i suoi pensieri, rivelati senza sapere di essere intercettato, erano di questo tenore: «E io devo pagare le pere cotte loro, loro si sono mangiati quei quattro soldi queste cose, vanno girando con le macchine da centomila euro sotto e io non posso...».
Non poteva, per esempio, comprare le medicine per il figlio malato, tant’è che dovette vendere qualche piccolo oggetto di valore ereditato dal padre. Proprio questo rancore, secondo il giudice, lo spinse ad appiccare il fuoco in concorso con persone rimaste ignote. E la prova più evidente sta in un’intercettazione ambientale nella quale la compagna dice: «Se ti licenziano poi lo paghiamo a qualcuno, ma stavolta però a lui e a lei devono andare un mese in ospedale. Visto che con l’incendio non abbiamo fatto niente, perché non la possono passare così liscia, ma manco Di Roberto, che me ne fotte». Antonio Di Roberto era il responsabile della sicurezza di Città della Scienza.
Incredibilmente, dunque, le stesse persone che Cammarota odiava, e che secondo il giudice intendeva punire con l’incendio, di lì a poco cambiano completamente atteggiamento nei suoi confronti. Il gip include tra gli indizi di colpevolezza a suo carico la «modifica del tenore di vita successivamente ai fatti: dimissioni volontarie nel giugno del 2014 e svolgimento di attività commerciale insieme alla convivente con apertura di due punti vendita in Volla». È provato, inoltre, che Cammarota conosceva i codici per spegnere i sistemi di allarme e si allontanò per circa un quarto d’ora proprio prima che le fiamme divampassero. Il giudice non manca di sottolineare come «le indagini hanno dimostrato il disordine nella gestione economica della Fondazione», come emerge da una telefonata intercettata a Vittorio Silvestrini, «all’origine della scelta di disertare una riunione del governo dove al secondo punto dell’ordine del giorno era stata posta la gestione economica dell’ente». Viene sottolineata anche «l’irregolarità nella tenuta delle scritture contabili della Fondazione, delle quali erano ben consapevoli gli esponenti di vertice del gruppo tra cui Lipardi».
I conti non tornano Secondo il magistrato vi erano «irregolarità contabili nella gestione della Fondazione»