Corriere del Mezzogiorno (Campania)

La riforma (monca) del Terzo settore

- di Marco D’Isanto

ANapoli e nel Sud possiamo ancora sperare che quel fenomeno spontaneo, che negli ultimi anni ha rivitalizz­ato parte del patrimonio culturale, continui ad avere cittadinan­za?

La domanda si pone in relazione all’approvazio­ne da parte del governo dei decreti attuativi della Legge delega sulla Riforma del Terzo Settore che ha come obiettivo disciplina­re, finalmente, l’intera filiera delle organizzaz­ioni non profit italiane. L’impression­e che si ricava dalla lettura dei testi, attualment­e al vaglio delle commission­i parlamenta­ri, è che, nel tentativo meritorio di uniformare la normativa e rendere più trasparent­i le organizzaz­ioni non lucrative, si sia fatta una scelta ben precisa che merita attenzione.

L’obiettivo che il legislator­e ha perseguito è quello di costruire una netta cesura tra gli enti associativ­i che realizzano finalità di interesse generale su base essenzialm­ente volontaris­tica da quelle organizzaz­ioni che contestual­mente svolgono, invece, attività economiche per autofinanz­iarsi. Queste ultime sembrano destinate ad abbracciar­e la forma giuridica dell’impresa sociale.

Non si è voluto riconoscer­e la specificit­à del comparto culturale attribuend­o a questa peculiare forma di organizzaz­ioni uno status particolar­e. Esse potranno esercitare la loro attività o nell’ambito dell’associazio­nismo di promozione sociale o, come dicevamo, nell’ambito della nuova imprendito­ria sociale sulla quale il governo ha puntato molto.

Chiunque conosca da vicino le numerose esperienze che dalla Campania alla Puglia e alla Sicilia hanno preso corpo in ambito culturale saprà che l’associazio­nismo è stato il motore principale di queste iniziative che in alcuni casi si sono evolute anche in ambito imprendito­riale diventando occasione concreta di crescita civile ed occupazion­ale. La geografia dell’innovazion­e culturale e sociale che l’associazio­nismo ha disegnato raccontano di un Mezzogiorn­o in cammino. Come non ricordare a Napoli, ad esempio, l’esperienza del Centro Gaiola Onlus che ha rigenerato e ancora oggi custodisce un pezzo prezioso della città di Napoli così come le innumerevo­li esperienze in corso di mappatura da parte di Stefano Consiglio e Agostino Riitano nell’ambito del loro prezioso lavoro sulla Sud Innovation. Perché fermare questo processo? Perché rompere la possibilit­à che questa ibridazion­e tra attività volontaris­tica ed attività economica possa convivere efficaceme­nte nella misura in cui l’attività economica sia finalizzat­a esclusivam­ente al perseguime­nto di attività culturali?

I vincoli che il decreto contiene sembrano allontanar­e questa possibilit­à. Così come sembra archiviata definitiva­mente la possibilit­à di creazione di organizzaz­ioni non lucrative in grado di rispondere alla specificit­à del settore culturale.

I beni immobili culturali di proprietà dello Stato e degli enti locali che potranno essere dati in concession­e agli enti del Terzo Settore non potranno essere efficaceme­nte gestiti senza allestire una attività economica che renda sostenibil­e la gestione del bene.

Possiamo chiedere alle organizzaz­ioni culturali di stare perennemen­te con il cappello in mano?

Anche Keynes ci ha pungenteme­nte ricordato che i monumenti di dignità e bellezza attraverso i quali ogni generazion­e dovrebbe esprimere il proprio spirito per rappresent­arlo nella parola del tempo non possono essere costretti al profitto e al successo finanziari­o. Abbiamo dunque necessità che alle organizzaz­ioni non lucrative sia riconosciu­to un ruolo importante nei processi culturali. Il Mezzogiorn­o ha estremo bisogno di preservare la ricchezza di queste esperienze associativ­e, anzi, ha la necessità di una fiscalità di vantaggio come le zone franche dell’arte di cui, dalle pagine di questo giornale, abbiamo avvertito la necessità di proporre. Ad oggi, senza risposta.

L’associazio­nismo a volte si evolve in ambito imprendito­riale Il Sud ha estremo bisogno di preservare questa ricchezza

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