Corriere del Mezzogiorno (Campania)
I SUPPLENTI DEL TRASPORTO PUBBLICO
Uno dei più comuni «luoghi comuni» su Napoli è: «Napoli è l’unica città africana a non avere un quartiere europeo». Perfido luogo comune! Difatti siamo in molti a dolercene e ad arrabbiarci: la storia, l’arte, la natura, la cultura della città lo smentiscono in tutto e per tutto. Usciti però da queste quattro straordinarie caratteristiche delle nostre affollate contrade e delle nostre amene colline, tutti sappiamo che la nostra vita quotidiana è afflitta non solo dall’inciviltà, dalla sporcizia, dall’anarchia, dalla prevalenza della plebe, ma soprattutto dall’assenza di quei servizi pubblici elementari che dovrebbero renderle vivibili. E allora il discorso cambia di fronte alla prova ontologica che irrompe in tutta la sua crudezza e dà ragione a quel luogo comune. Per prima cosa ci si accorge subito che non esiste in Europa un’altra città, dell’importanza e delle dimensioni di Napoli, in cui si è costretti a vivere senza potersi spostare nell’enorme territorio metropolitano, perché non c’è un servizio di trasporto pubblico degno di questo nome. Che, per esempio, consenta di arrivare al lavoro puntuali e senza l’ansia e la fatica dello spostamento. E si sa che dai trasporti dipende il funzionamento della maggior parte di altri servizi, pubblici e privati (sanità, università e scuola, uffici pubblici, assistenza e collaborazione domestica ecc.). Noi cittadini, pazienti e rassegnati, adusi a ogni arte dell’arrangiarsi, quasi non ci facciamo più caso. Del resto, i benestanti da tempo non usano il mezzo pubblico perché hanno le due o le quattro ruote private oppure vanno in taxi.
I meno abbienti e gl’immigrati possono gridare e bestemmiare, tanto nessuno li sente. E come reagiscono i tanti turisti di cui le istituzioni locali vanno fiere? Sono semplicemente allibiti, chiedendosi come si possa vivere in luoghi simili. Certo è apprezzabile la prospettiva del completamento, in due o tre anni (se tutto va bene, e non è detto!), della tanto bella quanto lenta metropolitana, ma nel frattempo che si fa? Che succederà in autunno, finite le ferie, quando riapriranno scuole, uffici, negozi e il traffico ricomincerà a impazzire? L’agonia del trasporto pubblico è ormai un fatto accertato: tra debiti, crediti, scioperi, esuberi di personale, aumento del prezzo dei taxi, alternarsi di amministratori volenterosi e impotenti, scaricabarile di responsabilità ecc.. Poiché nessuno è in grado di prevedere i tempi di risanamento delle aziende pubbliche di trasporto, occorrono evidentemente, tanto per cambiare, misure di emergenza. Specie perché la morte del trasporto pubblico sta aprendo le porte al nuovo abusivismo del trasporto privato (un po’ come quando spuntano i cinesi con gli ombrelli alle prime gocce di pioggia). È un abusivismo che creerà problemi più gravi di quello dei parcheggiatori o delle bancarelle, ma è anche un abusivismo inevitabile: sfido chiunque a rifiutare il passaggio dell’abusivo che ti porta a Posillipo o a Fuorigrotta o alla Ferrovia per due o tre euro, dopo aver atteso inutilmente e a lungo il mezzo pubblico. È peraltro un abusivismo difficile da reprimere, vista la mancanza di vigilanza urbana.
Non so se il Comune e l’Area metropolitana si siano posti il problema, ma sarebbe il caso di pensare tempestivamente a una «regolamentazione provvisoria» del servizio privato che, in supplenza del servizio pubblico, sia disposto a garantire il trasporto delle migliaia di utenti appiedati, magari dividendo per zone la città e l’area metropolitana. Si dirà che una soluzione del genere è da terzo mondo ed è vero, ma forse il luogo comune diventerà che «Napoli è la migliore città africana pur se non ha un quartiere europeo»: perché, in certi casi-limite, meglio un «onesto abusivismo regolato» che il rischio di una rivolta popolare (chissà di che colore, ma poco importa).