Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Multietnica
Più in là si estende Gianturco, che alcuni chiamano Gianturkistan, pianura di schiave nigeriane sotto rito voodoo e lanterne cinesi del Guandong. Il centro storico è srilankese, la comunità più numerosa, con venature capoverdiane e andine nella zona de cchianche, in piazza Carità. Più discreta ma foltissima è la presenza di ucraine. Le polacche a scaglioni stanno tornando nella adesso rampante Polonia. I campi rom punteggiano periferia nord e est. Tanti asiatici prendono il 140, che non passa mai, per lavorare nelle ville di Posillipo. In tutto, cifre ufficiali, gli immigrati sono 54mila e passa. Non un oceano. Ora: in attesa dello ius soli, come si cuce il patchwork di stranieri nel tessuto cittadino? Apocalittici o integrati? Partiamo da un dato: è del 2007 un libro di Sergio Nazzaro intitolato iperbolicamente «Io per fortuna c’ho la camorra». Significava, provocando, che l’esercito di fetenti indigeno garantisce che agli immigrati più disperati non salti in testa di fare i criminali. Al Nord l’argine non c’è: infatti la microcriminalità è spesso straniera. Per noialtri tutto ciò è poco consolatorio e comunque il ragionamento valeva fino a inizio decennio. Le cronache oggi squadrano una realtà mutante. Basti pensare ai pusher di colore fissi in piazza Bellini, cuore della movida, in evidente partnership con i clan. La politica, né macro né micro, non governa con puntualità tali processi. Più che altro può solo osservarne evoluzioni e involuzioni. La mappa viene meglio letta da soggetti non istituzionali - le nostre Ong sono più Onc, organizzazioni non comunali – e quindi le cooperative del Terzo Settore che fanno mediazione culturale, lo Sportello stranieri della Fillea Cgil, oppure, dal basso, alcuni centri sociali, che danno una mano sulla ricerca di alloggio, lingua e fronte sanitario (l’ambulatorio dell’ex Opg). Poi certo, de Magistris si sbraccia, rivendica primati d’accoglienza, benché la quota parte di migranti per ora sia piccola, aprendosi alla diplomazia in primis con la Palestina, pur eccedendo: l’incontro di giovedì col sindaco di Betlemme ha scatenato sbuffi d’ironia natalizia sul web. L’Islam invece, accomunante mediorientali e molti africani, ha iniziato a interessare i napoletani dopo l’11 Settembre. Prima zero. Nel 2004 compaiono le prime foto sui giornali del Ramadan in piazza del Carmine, presente l’assessora rifondarola alla Pace Isadora D’Aimmo. Più stimolante capire se c’è dialogo con quel crogiuolo di fedeli, circa 600, della moschea al Mercato, finita pure nel documentario ‘Napolislam’. L’imam Abdullah Cozzolino ha sempre assicurato: «Questo è un luogo di integrazione». All’integrazione sarebbe utile far precedere l’interazione, mossa altrettanto strategica: parlarsi e possibilmente ascoltare, da una parte e dall’altra.