Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Una Partenope africana vicino alla casa di Kunta Kinte
Vicino al Senegal, il villaggio si snoda lungo il fiume, ma gli abitanti non superano la soglia di povertà. Diversi gruppi etnici e diverse le lingue
Nel suo volume Viaggio nell’ interno dell’ Africa, alle sorgenti del Senegal e della
Gambia realizzato per ordine del governo francese e pubblicato in Italia nel 1820 da Sonzogno, il grande viaggiatore Gaspard Theodore Mollier presentò ai lettori europei le sorgenti dei fiumi Gambia e Senegal, il cui nome è naturalmente connesso a quello dei due Stati africani.
Mollier non avrebbe potuto immaginare che, a poco più di 50 chilometri dalla città di Brikama, capitale della regione occidentale del Gambia, sarebbe sorto un piccolo, piccolissimo villaggio chiamato Napoli in onore della più celebre città dell’Italia meridionale. Un villaggio di poche decine di abitanti, non lontano da altri centri come Kayimu Bintang, Kusamai e Kossema, a loro volta popolate da poche centinaia di persone.
Il nostro viaggio alla scoperta delle tante Napoli presenti nel mondo fa un’unica sosta nel Continente africano, la «mama Africa» che è madre di tutti i popoli del mondo e che, proprio lungo i suoi fiumi, vede scorrere la vita ogni giorno. Riso, pesce, carni, cipolle e ostriche del fiume Gambia sono parte della cucina «napoletana», mentre le tradizioni musicali si legano a quelle del vicino Senegal, basate sull’uso di uno strumento a percussione, il Sabar, diffuso presso il popolo wolof e distinto in sette differenti tipi.
Tra le città più popolose del Gambia che più risultano vicine alle aree in cui sorge il villaggio dei «napoletani» va an- noverata Serekunda, la più grande città del Gambia, collocata a sud-ovest della capitale Banjul, ma anche centri come Ziguinchor, che dà il nome ad una regione del Paese.
Come in molti centri limitrofi, anche nel villaggio di Napoli l’agricoltura e la pesca nel fiume Gambia è al centro delle attività quotidiane: una buona fetta della popolazione - oltre il 33% - in quest’area, e in tutto il Paese, vive al di sotto di 1,25 dollari al giorno, ormai assunta come soglia di povertà internazionale. In questo Paese sono piuttosto diffuse le violazioni dei diritti umani fondamentali, tra detenzioni arbitrarie e torture, come rilevato dagli osservatori di Human Rights Watch.
Il commercio degli schiavi da parte di portoghesi e inglesi ha rappresentato, dal XV secolo, uno dei tasselli-chiave della storia di questo lembo del continente, che ha condiviso questa sorte con altre nazioni dell’Africa occidentale. Risale solo al 1965 l’indipendenza del Paese, ma gli anni Novanta hanno visto protagonista un governo militare che ha assunto il potere sul Gambia dopo un colpo di stato che ha condotto alla presidenza di Yahya Jammeh. Proprio Jammeh ha annunciato nel 2015 la trasformazione del Gambia in una repubblica islamica: lo scorso aprile, dopo 22 anni di potere incontrastato, Jammeh è però fuggito in esilio in Guinea Equatoria- le, portando con sè alcune auto di lusso e l’equivalente dell’1% del Pil del Gambia, ovvero 12 milioni di euro.
Poco più piccolo della Campania, il Gambia è abitato da differenti gruppi etnici come i mandinga, i jola, i wolof o i fula e tante sono le lingue parlate nel Paese, dal mandinko al fulo.
Poco distante dal cuore della regione Western, al centro del fiume Gambia trova posto un piccolo lembo di terra, quella che un tempo si chiamava James Island e che ora è l’Isola di Kunta Kinteh, dal nome del protagonista di
Radici, il romanzo di Alex Haley portato al successo dall’omonima serie televisiva. Divenuta simbolo dello schiavismo, oggi quest’isola è minacciata dal riscaldamento globale e dall’abbandono.
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