Corriere del Mezzogiorno (Campania)
PERCHÉ DE MAGISTRIS «BATTE» RAGGI
Un paio di giorni fa, a leggere l’editoriale di Sabino Cassese sul Corriere della Sera, i napoletani avranno avuto un sussulto. Cassese descriveva il quadro di un degrado urbano: strade piene di buche, giardini in abbandono, persone accampate sui marciapiedi, vigili urbani spariti dalla circolazione, trasporti inesistenti, lavori pubblici fermi da decenni. Cassese stava parlando di Roma, non di Napoli. Ma quel sussulto si può capire. Le somiglianze tra le due città — e tra le rispettive amministrazioni pubbliche — sono vistose. Nè basta dire che la gestione di una metropoli in un paese come il nostro è comunque impresa ardua. Milano, Bologna, Firenze, Bari, Lecce, ecc. non versano nelle condizioni di Roma e di Napoli. Soltanto qui, per dirne una, le società di trasporto pubblico, l’Atac e l’Anm, forniscono servizi straordinariamente poveri, sono costosissime e versano sull’orlo del fallimento. Un problema, cioè, di buon governo (o di cattivo governo). E tuttavia, sul piano della comunicazione, il confronto tra la capitale e l’ex capitale è meno ovvio di quanto appaia. Come conferma lo stesso articolo di Cassese, di Roma si parla spesso sui media nazionali. Di Napoli, molto meno. Un gap che dipende comprensibilmente dal diverso ruolo istituzionale delle due città. Ma non solo. Diversa è anche l’immagine che i media ne hanno dato e ne danno al paese. A Roma, stampa e tv si sono interessate in modo particolare all’indomani della conquista del Campidoglio da parte del M5S. Comprensibile, data la novità politica. Certo è che di Virginia Raggi l’opinione nazionale ha avuto modo di seguire da vicino il calvario della formazione della giunta, il turnover dei collaboratori e dei manager, le audizioni in procura, le incertezze dei primi atti di governo, eccetera. Nulla è sfuggito allo scrutinio dei media.
E il consuntivo che ne traccia Cassese è ormai senso comune: la sindaca non sembra essere un campione del buon governo.
E Napoli? Di Napoli si è parlato meno. Ma soprattutto se n’è parlato in termini e con toni molto diversi. Malgrado una quantità di assessori messi alla porta, una gestione opinabile del debito comunale, una lunga serie di défaillance amministrative e, non ultimo, malgrado il fatto che governi da sei anni (e non da quindici mesi), di Luigi de Magistris la grande stampa e le televisioni hanno trasmesso al paese ben altre immagini: i catamarani dell’America’s Cup sullo sfondo di Castel dell’Ovo, la pedonalizzazione di via Partenope, le piste ciclabili, l’intelaiatura di N’Albero, la Coppa Davis con vista sul lungomare, qualche concerto pop. Ne hanno parlato e ne parlano con simpatia, con indulgenza, magari con una punta di paternalismo. Certo è che de Magistris, in tutto questo tempo, ha visto consolidarsi il suo profilo di leader giovane, esuberante, volitivo, fantasioso.
E però sarebbe troppo facile addebitare ai media il diverso trattamento dei due sindaci. La verità, piuttosto, è che il sindaco di Napoli si è rivelato un maestro della comunicazione politica, esattamente come la sindaca di Roma ha mostrato, su questo piano, ruvidezze e ingenuità inconcepibili al giorno d’oggi (oggi che i tweet sembrano contare più delle policies). Nessuno dei due ha messo in mostra capacità di governo, ma, mentre la Raggi sta pagando politicamente i suoi limiti amministrativi, a de Magistris è riuscito di costruire una narrazione della città che solleticava l’orgoglio epidermico dell’opinione locale e che, al tempo stesso, proponeva al paese l’ennesima immagine di una Napoli festosa, affollata, popolaresca, folkloristica. Quasi volesse spaventare Virginia Raggi, Cassese cita nel suo articolo il giudizio che di Roma aveva dato nel 1860 un diplomatico francese: «C’est ici que l’Orient commence». De Magistris invece non farebbe una piega se gli si ricordassero le parole altrettanto arcigne pronunciate nel 1806 dal poeta Creuzé de Lesser: «L’Europe finit à Naples». Direbbe che sì, la sua città è mediterranea, meridiana, multiculturale. Non a caso, l’ex pm si accinge a costruire su via Caracciolo un gigantesco corno rosso (60 metri). I giornali ne parleranno, le televisioni lo troveranno fotogenico, i semiologi discuteranno compiaciuti. E nessuno ricorderà il buco di bilancio, le esose sovrimposte comunali, la differenziata al palo. Virginia Raggi ha molto da imparare.