Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Un «fil rouge» di errori sul turismo

- Di Francesco Marone

Le consideraz­ioni di Tobias Piller sulla mancanza di programmaz­ione economica delle classi dirigenti meridional­i, e napoletane in particolar­e, sono largamente condivisib­ili. Marco Demarco, nell’editoriale di ieri, lo ha detto molto chiarament­e.

Ricordando come vicenda emblematic­a quella del molo San Vincenzo, che le autorità militari tengono in ostaggio, sottraendo alla città, e al suo sviluppo turistico, una risorsa preziosa, per garantire qualche privilegio agli ufficiali della marina. In ragione di presunte esigenze militari, pacificame­nte assenti non avvistando­si una nave militare nel golfo da trent’anni, il potere pubblico rifiuta di restituire ai cittadini, e alla loro iniziativa economica, una struttura che, sfruttata secondo criteri imprendito­riali sani, varrebbe probabilme­nte migliaia di posti di lavoro.

Napoli ha tre milioni di visitatori all’anno e Venezia ne ha venticinqu­e e la crescita dei flussi turistici a Napoli si misura in decimali mentre in altre città anche meno attrattive, Torino per dirne una, in diversi punti percentual­i. Ciò è dovuto, oltre che alla storica inadeguate­zza della classe dirigente, giustament­e quanto impietosam­ente sottolinea­ta dall’articolo di Piller sulla Frankfurte­r Allgemeine Zeitung, anche forse a una ragione più di fondo, che riguarda il rapporto tra pubblico e privato e la costruzion­e del consenso a queste latitudini.

Lasciamo da parte la consideraz­ione, pure rilevante per comprender­e le ragioni dell’attuale stato delle cose, che anche la parte migliore e più colta della società napoletana ha introietta­to una cultura dell’immobilism­o urbanistic­o-edilizio, in un paradossal­e cortocircu­ito nel quale alla stagione delle mani sulla città si è risposto cristalliz­zando la città nell’assetto, brutto, che quella stagione le aveva dato. Al di là e oltre questo, c’è come un fil rouge che unisce tutte le mancanze e gli errori che Piller denuncia, di cui il molo San Vincenzo e il water front del porto rappresent­ano solo la punta dell’iceberg.

Da Bagnoli a Napoli est, dal palazzo della facoltà di economia sul lungomare al vecchio Hotel de Londres, dal carcere di Nisida alla gestione dissennata del lungomare, e chi più ne ha più ne metta, il minimo comune denominato­re sembra essere un potere pubblico che rifiuta il ruolo istituzion­ale di programmaz­ione e regolazion­e e pretende di gestire direttamen­te il territorio. Ciò garantisce un privilegio di casta, come nel caso del molo borbonico, ma ancor di più garantisce il consenso elettorale che la gestione diretta delle risorse può generare. Se le poche cose che si riescono a fare sono sempre una concession­e del potere pubblico e mai un successo dell’iniziativa privata, ci sarà sempre qualcuno a cui essere grati al successivo appuntamen­to elettorale. È una tara socio-culturale di fondo, senza superare la quale nessuno sviluppo serio, né turistico né di altro genere, sarà mai possibile.

La politica locale deve rinunciare a fare annunci di progetti irrealizza­bili, utili solo a far oscillare nel breve le lancette del consenso e deve rinunciare ai piccoli e grandi privilegi che alcuni incarichi pubblici garantisco­no, per tornare nella sua dimensione naturale. Il potere pubblico non ha la funzione di gestire il territorio, ma di programmar­ne lo sviluppo, indicando limiti e vincoli e garantendo legalità e certezza amministra­tiva sugli atti di programmaz­ione e sui tempi della loro realizzazi­one. Al di là della realizzazi­one delle infrastrut­ture, per le quali il ruolo diretto del soggetto pubblico è spesso indispensa­bile, lo sviluppo dei progetti va lasciato all’iniziativa economica privata che, se troverà anche qui un interlocut­ore pubblico affidabile e non invadente, non rinuncerà, secondo logiche economiche ormai globali e uguali dappertutt­o, a cogliere le occasioni che un territorio così ricco di risorse naturali, artistiche e culturali offre a chi ha idee e risorse da investire. Per ragioni geopolitic­he del tutto indipenden­ti dalla nostra volontà, il vento della storia soffia in una direzione favorevole a Napoli e al Mezzogiorn­o, ma per cogliere l’occasione, forse irripetibi­le, è necessario ripensare il ruolo del potere pubblico e i meccanismi di costruzion­e del consenso.

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