Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Nella cripta dei misteri Un sopralluogo ricco di sorprese
Il manoscritto della dichiarazione rilasciata da monsignor Ugo Dovere nel corso della seduta dell’Accademia Pontaniana del 25 maggio scorso.
Motivi di riservatezza gli avevano all’epoca suggerito di non divulgare la scoperta. Adesso aveva scelto di parlare, anche se non poteva più essere sicuro della sorte toccata alla cassetta dopo i radicali lavori ordinati nella cripta dalla soprintendenza per eliminare l’umidità proveniente dal sottosuolo.
Allo scopo di verificare la situazione ritenni quindi opportuno effettuare un sopralluogo. E il pomeriggio dello scorso 19 giugno mi recai insieme a monsignor Dovere nella chiesa di Sant’Anna dei Lombardi, dove stava aspettandoci il parroco don Giuseppe Maglione. Devo confessare che, quando calpestai la pesante grata metallica stesa sul pavimento che sbarrava l’accesso al sottosuolo, ero emozionato. E, appena i due robusti collaboratori del parroco ebbero sollevata la barriera, cominciai a scendere gli scalini della elegante doppia scala ad arco con qualche titubanza.
La volta della Cripta degli Abati era decorata da affreschi raffiguranti gli alberi d’una foresta sacra. Tutt’intorno, dalle cavità orbitali dei teschi degli abati racchiusi nelle teche di vetro, uscivano occhiate incuriosite. Pareva quasi che i crani stessero a guardia della sequenza di sedili di pietra posti sotto di loro, dove i cadaveri dei monaci, preventivamente perforati dagli «schiattamuorti» per accelerarne la decomposizione, venivano lasciati «scolare».
Accanto alla scala giacevano accatastate venticinque cassette, contenenti resti umani trasferiti dalle tombe di San Giovanni dei Fiorentini dopo la demolizione della chiesa. Nessuna di esse però somigliava a quella che custodiva i resti di Tanucci. Secondo la descrizione di monsignor Dovere avrebbe dovuto essere più grande, avere una forma più allungata e un colore più scuro. Ma di essa non si vedeva traccia. La seconda sparizione delle ossa di Tanucci appariva ancor più misteriosa della prima. Fu a quel punto, mentre rassegnati stavamo avviandoci verso la scala, che don Giuseppe disse: «Perché non diamo un’occhiata alla terrasanta?». Francamente non capivo di cosa stesse parlando. Come potevo immaginare l’esistenza, sotto la cripta, di un secondo grande ipogeo, destinato ad accogliere le ossa dei monaci dopo la «scolatura»? La cavità prendeva il nome dalla terra proveniente dalla Palestina sparsavi anticamente. Ma il suo unico accesso era la bocca di un pozzo profondo una quindicina di metri. Ispezionarla sarebbe stato quindi impossibile. E oltretutto inutile. Infatti, secondo monsignor Dovere, la soprintendenza aveva fatto svuotare la «terrasanta» per eliminare l’umidità. Don Giuseppe però suggerì, giacché c’eravamo, di fare un ultimo tentativo. Quello di spostare la botola e gettare un fascio di luce nel pozzo. In tal modo, quando la potente torcia elettrica illuminò il pozzo, scoprimmo sul fondo l’esistenza di una cassetta corrispondente, per sagoma, dimensione e colore, a quella che stavamo cercando.
Una cosa è sicura. Qualcuno, per motivi e in epoca che ignoriamo, ritenne opportuno scaraventare nel pozzo la cassetta e il suo contenuto. Forse durante i lavori i muratori, disturbati dall’ingombro, tentarono di spostarla sollevandola da terra. Ed è possibile che, a seguito del cedimento del legno marcio, i resti umani si siano sparsi sul pavimento. Il sopralluogo non ha fornito certezze. Esse potranno forse venire da ulteriori indagini. Ma la concomitanza degli indizi sembra significativa. I resti giacenti in fondo al pozzo sono, con ogni probabilità, le ossa del marchese Bernardo Tanucci.
(5 – Fine)