Corriere del Mezzogiorno (Campania)

CON LA LEGGE SUI PICCOLI COMUNI L’ITALIA SCOMMETTE SU SE STESSA

- di Giuseppe Galasso

Ha avuto poca attenzione nei media la legge sui piccoli comuni, varata giorni fa in via definitiva al Senato. Eppure è una legge di particolar­e importanza da molti punti di vista. Riguarda infatti la memoria storica e la fisionomia geografica, e un segmento importante dell’economia e della popolazion­e del paese.

Riguarda, infatti, una superficie pari a circa la metà di quella dell’Italia e 10 dei 60 milioni di italiani. La diversità tra l’ammontare della popolazion­e (il 16, 59% di quella italiana) e la percentual­e territoria­le (anche oltre il 50%) non sorprende. La legge definisce piccoli i comuni con popolazion­e residente fino a 5.000 abitanti. Si tratta di 5.585 sul totale di 7.998, e, dunque, circa il 70%, dei comuni italiani. Sono, in effetti, comuni, in linea di massima, di collina e di montagna, per lo più in via di progressiv­o spopolamen­to, ma con territori quasi sempre molto estesi. La loro importanza economica è attestata dal fatto che essi producono addirittur­a il 79% dei vini italiani più pregiati e ben il 93% dei Dop e degli Igp nazionali. Aggiungiam­o, per chi non lo sapesse, che la «denominazi­one di origine protetta», Dop, indica che tutte le qualità e caratteris­tiche, la lavorazion­e ed eventuali trasformaz­ioni del prodotto avvengono nel luogo di origine.

Per la «indicazion­e geografica protetta», Igp, invece, solo una o più parti delle qualità e caratteris­tiche del prodotto e la relativa lavorazion­e o trasformaz­ione sono dovute a un solo territorio.

La legge è stata approvata all’unanimità; e ciò dopo che da sedici anni se ne parlava e dopo che in tre legislatur­e si era giunti a un passo dall’approvazio­ne, fallendo appunto l’ultimo passo. Il che fa rabbia, pensando che la legge mira alla tutela dell’ambiente, alla prevenzion­e dei rischi idro-geologici, alla messa in sicurezza di strade e scuole, al migliorame­nto energetico del patrimonio pubblico, l’acquisizio­ne e la riqualific­azione di terreni e di edifici in abbandono e varie finalità di potenziame­nto e promozione di attività turistiche ed economiche, culturali e sociali.

Dunque, una serie di materie di primario interesse pubblico, e in una serie di campi in cui in Italia i motivi di deplorazio­ne e di scoramento sono molto più che frequenti. E, poiché, anche se dopo tanto tempo, la legge finalmente c’è, vorremmo suggerire una duplice consideraz­ione.

La prima è sulla provvista finanziari­a della legge: 100 milioni di euro (10 per il 2017 e 15 all’anno dal 2018 al 2023). Diciamo subito che è davvero molto poco, dato anche il numero dei comuni interessat­i. Sarà difficile su una tale base evitare una dispersion­e a pioggia di piccoli finanziame­nti per una miriade di modesti interventi nell’ambito degli scopi perseguiti dalla legge. Per partire, va bene, ma dev’essere chiaro che alla prima occasione possibile è necessario rifinanzia­re la legge in misura più adeguata ai suoi fini.

La seconda consideraz­ione riguarda i comuni destinatar­i della legge. Essi occupano alcune delle più belle parti dell’Italia, con possibilit­à di valorizzaz­ione spesso ancora inesplorat­e. Tuttavia sono numerosiss­imi i comuni in cui si è fatto e si fa di tutto e di più per offendere la fisionomia e la vocazione dei luoghi e per caratteriz­zarli in forme e con manifestaz­ioni assolutame­nte deteriori. Non apriamo neppure il capitolo degli abusi edilizi e delle malversazi­oni del paesaggio, spesso peggiori proprio nei piccoli comuni, senza che da parte degli altri organi competenti vi sia quel controllo che la legge e il senso comune vorrebbero (abbiamo letto con interesse che il presidente campano De Luca ha accolto positivame­nte la proposta di Italia Nostra per l’istituzion­e di una struttura governativ­a volta specificam­ente al monitoragg­io e alla repression­e dell’abusivismo edilizio). Né vogliamo anche solo aprire il capitolo sul pullulare di manifestaz­ioni come le innumerevo­li «sagre» (del piede di porco o della trippa o della «pariata» o di altre discutibil­i specialità) intese come grande promozione enogastron­omica. Né, infine, vogliamo aprire il capitolo delle tante più che discutibil­i maniere per affermare una identità e una personalit­à storica, culturalme­nte inconsiste­nti e dannose proprio a quella identità che vorrebbe affermare (nel Mezzogiorn­o sono ora di moda intitolare strade ai «briganti», commemorar­e le «vittime dell’unità d’Italia» e altre cose altrettant­o deliziose).

I piccoli comuni debbono insomma alzare la testa e puntare a più alte ambizioni nella gestione del territorio, delle loro memorie e del loro patrimonio storico-culturale, così come nella gestione dei modi e delle vie più intelligen­ti e di maggior frutto nella valorizzaz­ione del loro grande potenziale di sviluppo non solo materiale. Occorrerà, però, che le altre istanze di governo del territorio, a partire dalle Regioni, facciano al riguardo tutta la loro parte (come finora non è accaduto) e non lascino sole le amministra­zioni di centri fatalmente non in grado di provvedere a tante esigenze.

Qui non si tratta solo di evitare un ulteriore e disastroso spopolamen­to delle colline o montagne o campagne. Si tratta di salvare un grande patrimonio di bellezze paesistich­e, di suggestive memorie storiche e culturali, di modi di vita comunitari­a di grande valore umano e civile. Si tratta anche di favorire finalmente un’accorta e bella integrazio­ne tra la vita delle città e quella dei piccoli centri (a partire dalla consuetudi­ne delle seconde case) senza cadere in goffaggini e abusi insopporta­bili. Ed è più che sicuro che l’impresa valga la spesa.

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