Corriere del Mezzogiorno (Campania)
La politica esca dalle sue stanze e ritrovi la comunità
Caro direttore, innanzitutto grazie per aver scelto di dare spazio sul Corriere del Mezzogiorno ad una discussione sul ruolo e la funzione della politica e dei partiti. Non è frequente e non è solo colpa dei partiti, ma anche dell’idea che la politica sia ormai lo spazio dei singoli, nel quale ciascuno prova solo ad affermare se stesso.
E non quello della costruzione di un progetto comune che diventa tale proprio perché raccoglie e fa sintesi dei valori di tutti quelli che si sentono di una «parte». Il deserto progettuale è anche conseguenza di questo disvalore. E vengo alla mia, di parte. Potrei sintetizzare — prima ancora di cominciare — sostenendo che, contrariamente al detto, si può sbagliare anche non facendo. Per esempio sottovalutando la sensibilità, la saggezza e l’attenzione degli elettori, o mancando di determinazione nello spingere sull’acceleratore elettorale con proposte e can- didature identitarie. Probabilmente, è stata proprio quest’ultima la ragione che lo scorso anno ha penalizzato, all’appuntamento delle elezioni comunali di Napoli, un centrodestra apparso affannato e sfilacciato. Lo stesso centrodestra che ha però avuto uno scatto di reni con il referendum già lo scorso 5 dicembre, mostrando gli artigli e i denti per difendere la nostra idea di Costituzione. Ad ogni modo, quello che secondo me conta di più è che se un partito come Forza Italia sta imparando ad aprirsi e a confrontarsi — ritrovando nel 2017 l’entusiasmo del ‘94 — non può continuare ad attardarsi a discutere sulle sconfitte, vere e presunte. Anche se Dio solo sa quanto sarebbe servito un Caldoro bis per consolidare un percorso di risanamento che De Luca sta buttando al secchio. Anche se Dio solo sa quanto avremmo avuto bisogno di stoppare il populismo di de Magistris che questa città la sta portando al collasso. Ma una classe dirigente matura deve interrogarsi principalmente su quello che serve per vincere, per mettere assieme competenze capaci di contrapporre un disegno di governo all’inconcludenza del sindaco, alla retorica della rabbia dei Cinquestelle e all’arroganza del Partito Democratico. Io credo che la strada giusta sia una ed una soltanto: confrontarsi, semplificare i concetti, discutere con la gente dei problemi. Ecco perché dobbiamo aprirci alla Città, a partire da iniziative tematiche e focus sui territori, come stiamo già facendo: insomma, non chiacchiere, ma soluzioni, non domande retoriche, ma risposte. Alziamoci dalle scrivanie e andiamo a visitare le scuole e i negozi di periferia, andiamo a vedere cosa succede nella vita delle persone quando non funzionano i mezzi pubblici, quando scompare il sistema del welfare. E dobbiamo farlo senza processare la società civile — come pure va di moda — persino nella consapevolezza della sua tradizionale indifferenza alle esigenze di questa città. La capacità di un partito che si candida a governare è anche quella di trovare le ragioni per invogliare, chi ha un bagaglio di valori e di qualità, a partecipare alla costruzione dei contenuti del proprio programma, persino senza chiedere di schierarsi, se è necessario. Noi lo abbiamo fatto con gli Stati Generali a luglio; lo abbiamo ribadito in questi giorni in una cornice nazionale ad Ischia; lo rifaremo a dicembre quando il gruppo dirigente napoletano e campano, lavorando coesamente, presenterà i frutti del dialogo con il sistema produttivo e sociale della Campania. È la strada per dimostrare che una differenza ci può essere e che c’è ancora uno spazio per fiducia e speranza. Certo, non siamo imbattibili e non siamo neppure perfetti. Ma lo abbiamo capito e ci stiamo rimboccando le maniche. Del resto — senza presunzione — posso chiedere chi altri lo sta facendo? Responsabile nazionale Politiche del Sud e consigliere regionale della Campania di Fi