Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Cazzullo: dialogo con i miei figli per capire vizi e virtù della Rete
Cazzullo: la rete spiegata ai miei figli
Il video virale di quattro turisti in gondola chini sui loro smartphone, circolato nei giorni scorsi, è molto eloquente. Tutti siamo schiavi dei nostri telefoni e i ragazzi sono le prime vittime di questa epidemia di iperconnessione.
Ad affrontare il tema in forma assai originale è Aldo Cazzullo, firma di punta del Corriere della Sera e autore di numerosi saggi storici e di attualità. Il suo nuovo libro, Metti via quel cellulare (Mondadori; la presentazione a Napoli sabato 4 novembre al Teatro Diana, ore 11.30), indica già dal titolo — con l’uso della seconda persona — la scelta di un andamento interlocutorio: da una parte il padre, dall’altra i figli, Francesco e Rossana. Un confronto serrato e mai banale per mettere a fuoco i danni della rivoluzione digitale, ma anche le possibilità che questa ha indiscutibilmente aperto. «Non è una predica, ma un dialogo scritto affinché possa essere utile a entrambe le parti», spiega l’autore. «Le nostre posizioni iniziali sono molto distanti, eppure quando parliamo di come la rivoluzione digitale abbia cambiato il mondo capita a volte che io dia ragione a loro, a volte loro a me. Ci sono, insomma, diversi punti di incontro».
Noi adulti siamo inclini a vedere di cattivo occhio il tempo che i ragazzi passano sul web, attaccati agli smartphone, ma loro cosa ci rimproverano?
«I ragazzi fanno una serie di considerazioni interessanti. Prima di tutto mi fanno notare che noi siamo i primi ad usare i cellulari, a volte anche come alibi. Come prima accadeva con la tv, spesso i genitori parcheggiano i figli davanti a uno schermo. Ma la responsabilità genitoriale resta nostra, noi siamo quelli che trasmettono ai figli passioni, interessi, valori».
Un’altra argomentazione in difesa del web è nel fatto che non sia poi tutto da buttare...
«La rete può essere feroce ma per alcuni si rivela un rifugio, un luogo dove ci si può esprimere meglio, arrivare al contatto con gli altri. Ci sono una serie di episodi molto significativi: all’attentato di Manchester, durante il concerto di Ariana Grande, i ragazzi si sono dati reciproco aiuto grazie alla rete, cercandosi, offrendo ospitalità nelle case. Per non parlare delle cosiddette primavere arabe e le rivolte nate in rete. Ci sono anche altri dati meno conosciuti: prendiamo la mania di Pokemon Go, il videogioco (che personalmente odio) dilagato lo scorso anno in tutto il mondo, che spingeva i giocatori a cercare i Pokemon per strada. Ebbene, i miei figli mi hanno raccontato di un ragazzo autistico che per la prima volta è uscito di casa proprio grazie a quel gioco».
Però ci sono anche gli «haters» e i pericoli della violenza.
«Sulla rete si sente subito il bisogno di alzare la voce. Le fake news sono più lette delle vere. Ma anche in questo campo ci sono sorprese. Francesco mi ha raccontato del giocatore del Milan, Riccardo Montolivo, operato dopo la rottura del crociato e subissato di insulti su Facebook, perfino con l’augurio di morire. Lui ha risposto così: “Una carezza a chi mi ha augurato il peggio, siate più educati”. Nel libro racconto anche la storia di un pugile di Marcianise (quasi tutti i pugili italiani sono di Marcianise), Vincenzo Mangiacapre, che alle Olimpiadi di Londra nel 2012 si ruppe lo zigomo e fu coperto di insulti sui social. Eppure lui aveva pubblicato un post di grande forza morale. A volte la rete è un vero Colosseo virtuale.
In ogni caso i miei figli sono convinti che la rete di per sé non sia un’entità buona o cattiva. È umana e come tutte le cose umane può essere buona o cattiva. Loro sanno che dovranno averci a che fare, che faranno probabilmente lavori legati alla rete e che oggi non esistono nemmeno».
A proposito di futuro, nell’ultimo capitolo si aprono nuovi scenari. Cosa ci aspetta?
«Sì, in quella parte parlo dell’intreccio tra rivoluzione digitale e vita artificiale. Ormai siamo andati oltre la riproducibilità dell’opera d’arte, siamo alla riproducibilità della vita. Già oggi siamo tutti cyborg, connessi in ogni momento. In futuro il cervello sarà il computer, la rete sarà la memoria. Ma l’importante è che le intelligenze artificiali continuino a pensarla come noi, ad avere un’umanità».
Come si riesce a contrastare la dipendenza da web?
«Parlando, recuperando la fisicità del dialogo. Vorrei che la conversazione avviata con i miei figli continuasse nelle case dei lettori, finanche dei non lettori... Nel Sud c’è una grande ricchezza di rapporti umani, questo potrebbe essere un modo di opporre anticorpi allo strapotere della rete. Altrimenti c’è il rischio serio che i nuovi nativi digitali smettano anche di giocare a palla o di leggere un libro».
Il mestiere di giornalista cambia ai tempi dello smartphone?
«Per me è uno strumento formidabile, del resto ho iniziato proprio io a fare le cronache via sms. Però è pur vero che il giornale ti dava una certa gerarchia delle notizie, mentre ora è più facile che leggiamo il singolo articolo. Quello era un modo diverso di vedere il mondo, ma il giornalismo resta un lavoro collettivo».
Al Sud Nel Mezzogiorno c’è una grande ricchezza di rapporti umani, questo potrebbe essere un modo di opporre anticorpi allo strapotere della rete.