Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Perrella, la felicità degli «insperati incontri»
Ci sono libri che rivelano l’essenza del metodo di chi li scrive, al di là dell’argomento trattato o delle intenzioni. È il caso di Insperati incontri, l’ultimo testo di Silvio Perrella (Gaffi, 508 pagine, 22 euro) che raccoglie in ordine alfabetico e in forma di esperienza gli incontri fatti dall’autore con una foltissima schiera di scrittori, come Consolo, Ramondino, Ermanno Rea, Garboli, La Capria, e tantissimi altri. Si sa: ogni libro deve affrontare i propri rischi specifici. E questo, nella fattispecie, si cimentava in un’operazione piena di incognite, che avrebbe potuto benissimo risolversi in un inerte catalogazione. Per fortuna invece, proprio per l’intima assonanza con la natura dialogica di Perrella, Insperati incontri offre al lettore la felicità di un accesso in presa diretta a una topografia culturale. La chiave è già nel titolo: rinunciando all’idea di speranza con il suo carico di attese e solipsismi, l’autore affida la propria scrittura alle apparizioni pregnanti del caso, cioè alla grazia del Kairos, il capriccio del momento, dove il contatto incontra la giusta occasione, e la parola la cosa da dire. Ricordiamo che nella cultura greca il Kairos indicava il tempo di mezzo dove qualcosa di speciale accade. Questo momento di grazia veniva definito dalla parola stessa che lo nominava. È facile quindi collocare l’approccio linguistico di Perrella in un tale contesto mobile ed aereo, volto a focalizzare il riflesso profondo del discorso degli interlocutori nelle opportunità favorevoli sprigionate dal caso. Così la sua scrittura sfocia in una domanda invisibilmente protesa verso la varietà del mondo, captando come una sonda l’infinito risonare delle esperienze. In queste istantanee dell’anima stessa degli incontri Perrella manifesta la curiosità dello sguardo che partecipa all’accadere delle cose, quasi la tensione adolescente di chi vuole afferrare il tessuto delle storie. L’elemento specifico del suo lavoro suggerisce che un dialogo fortunato con uno scrittore, iscrivendosi in una circostanza specifica, designa di fatto un rapporto spaziale tra le figure, una sorta di geometria euclidea fondata sulla relazione tra gli interlocutori. Evoca cioè lo spazio unico e creativo che ogni nuova reciprocità fonda, chiamando indirettamente in causa l’interesse altrove espresso dall’autore per le proporzioni latenti della fotografia e dell’urbanistica. La passione di Perrella per il definirsi del mondo coniuga infatti slancio umanistico e osservazione fenomenologica. E non è un caso che all’interno di questa miscela fondata sullo stupore per lo sporgersi sospeso delle forme, abbia scelto come introduzione al libro un racconto di Hebel che narra del ricongiungimento asincronico con un passato preservato da un’alchimia mineraria. Non è un caso, dicevo, perché in quelle righe fa capolino il motivo dell’incanto, dell’innamoramento fermato in una cristallizzazione di sthendaliana memoria. Cioè proprio quell’incantamento conoscitivo con cui vogliono fissarsi nel tempo e nell’immaginazione gli incontri epifanici di Perrella.