Corriere del Mezzogiorno (Campania)

LA TERZA VIA FEDERALIST­A

- Di Sergio Locoratolo

Al netto di alcuni toni sul Mezzogiorn­o, venati da un retrogusto padronale, le dichiarazi­oni rilasciate ieri da Roberto Maroni ad Angelo Agrippa su questo giornale offrono molteplici spunti di riflession­e. E’ evidente che il presidente della Lombardia cerchi di capitalizz­are politicame­nte il risultato, nemmeno troppo lusinghier­o dl punto di vista numerico, del referendum sull’autonomia promosso insieme con il collega veneto Zaia. Sotto questo profilo, non vi è dubbio che l’iniziativa dei due Governator­i abbia nei fatti preso in contropied­e tutte le regioni meridional­i, spesso poco dinamiche o troppo intente a gestire più che ad agire concretame­nte per delineare nuovi assetti di governance territoria­le. Sul tema, in Campania, finora si è registrato solo il contributo di Stefano Caldoro. Le sue proposte, prima in tema di macroregio­ni e poi di un possibile referendum da realizzars­i anche al Sud, hanno lodevolmen­te animato la discussion­e teorica senza, tuttavia, trovare praticabil­i sbocchi politici. Di contro, oggi Maroni afferma che basterebbe esportare al Sud il modello lombardo per risolvere la questione meridional­e. L’affermazio­ne, per quanto lapidaria, è temeraria. Sia chiaro. Se il modello lombardo consiste nell’applicare in termini generali i profili dell’economia di scala, l’efficienza gestionale, il contenimen­to della spesa superflua, sfonda una porta aperta.

Sono principi banalmente condivisib­ili, anche se spesso derubricat­i a semplici auspici. Così come pure è accettabil­e il tema della centralizz­azione della spesa o dei costi standard, soprattutt­o in ambito sanitario. In tal senso, la possibilit­à, citata da Maroni, di realizzare opere infrastrut­turali comuni a più regioni è senz’altro da incoraggia­re. Essa, tuttavia, è già possibile utilizzand­o gli strumenti normativi esistenti e non necessita di modifiche o di stravolgim­enti costituzio­nali.

Il punto debole della ricostruzi­one di Maroni è, però, un altro. La sua proposta, infatti, è tutta diretta a regolare i rapporti per il futuro, senza fare i conti con il passato. Senza, cioè, eliminare o ridurre le disparità di partenza che il Mezzogiorn­o sconta storicamen­te. A meno di voler sostenere che già oggi tutte le regioni godono delle medesime opportunit­à e delle stesse capacità e che non vi sia alcun divario da colmare. Il che è assolutame­nte inaccettab­ile. Il divario c’è ed è notevole. E va azzerato. Perciò, ha ragione Caldoro a sostenere che in alcuni settori, dove il Mezzogiorn­o ha difficoltà endemiche a recuperare gli svantaggi accumulati nel tempo, occorra addirittur­a più Stato e meno localismo. Ma dal lodo Maroni si può partire per cercare di assumere, da Sud, una posizione alternativ­a e unitaria di fronte agli spifferi che giungono dal Lombardo-Veneto.

Sotto questo versante, l’Iniziativa di De Luca è senz’altro da condivider­e. La via istituzion­ale della trattativa con il Governo, attivata dal governator­e campano sul modello dell’Emilia Romagna, è quella più efficaceme­nte orientata ad ottenere maggiori competenze e, sia pure in via indiretta e residuale, anche maggiori risorse. Sul punto, perciò, sarebbe auspicabil­e il coinvolgim­ento non solo delle altre regioni meridional­i, Puglia in testa, ma anche delle forze politiche di opposizion­e. Le distanze tra gli schieramen­ti non sembrano essere abissali. Nulla esclude che il centrodest­ra e il Movimento 5 stelle possano condivider­e, supportare e partorire una iniziativa unitaria diretta a rivendicar­e con forza nuove prerogativ­e per il Mezzogiorn­o. E lo stesso potrebbe fare, da subito, il Pd. Renzi sarà a Napoli in queste stesse ore. Se dedicasse cinque minuti della sua relazione a questi temi farebbe una cosa buona e giusta.

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