Corriere del Mezzogiorno (Campania)
LA TERZA VIA FEDERALISTA
Al netto di alcuni toni sul Mezzogiorno, venati da un retrogusto padronale, le dichiarazioni rilasciate ieri da Roberto Maroni ad Angelo Agrippa su questo giornale offrono molteplici spunti di riflessione. E’ evidente che il presidente della Lombardia cerchi di capitalizzare politicamente il risultato, nemmeno troppo lusinghiero dl punto di vista numerico, del referendum sull’autonomia promosso insieme con il collega veneto Zaia. Sotto questo profilo, non vi è dubbio che l’iniziativa dei due Governatori abbia nei fatti preso in contropiede tutte le regioni meridionali, spesso poco dinamiche o troppo intente a gestire più che ad agire concretamente per delineare nuovi assetti di governance territoriale. Sul tema, in Campania, finora si è registrato solo il contributo di Stefano Caldoro. Le sue proposte, prima in tema di macroregioni e poi di un possibile referendum da realizzarsi anche al Sud, hanno lodevolmente animato la discussione teorica senza, tuttavia, trovare praticabili sbocchi politici. Di contro, oggi Maroni afferma che basterebbe esportare al Sud il modello lombardo per risolvere la questione meridionale. L’affermazione, per quanto lapidaria, è temeraria. Sia chiaro. Se il modello lombardo consiste nell’applicare in termini generali i profili dell’economia di scala, l’efficienza gestionale, il contenimento della spesa superflua, sfonda una porta aperta.
Sono principi banalmente condivisibili, anche se spesso derubricati a semplici auspici. Così come pure è accettabile il tema della centralizzazione della spesa o dei costi standard, soprattutto in ambito sanitario. In tal senso, la possibilità, citata da Maroni, di realizzare opere infrastrutturali comuni a più regioni è senz’altro da incoraggiare. Essa, tuttavia, è già possibile utilizzando gli strumenti normativi esistenti e non necessita di modifiche o di stravolgimenti costituzionali.
Il punto debole della ricostruzione di Maroni è, però, un altro. La sua proposta, infatti, è tutta diretta a regolare i rapporti per il futuro, senza fare i conti con il passato. Senza, cioè, eliminare o ridurre le disparità di partenza che il Mezzogiorno sconta storicamente. A meno di voler sostenere che già oggi tutte le regioni godono delle medesime opportunità e delle stesse capacità e che non vi sia alcun divario da colmare. Il che è assolutamente inaccettabile. Il divario c’è ed è notevole. E va azzerato. Perciò, ha ragione Caldoro a sostenere che in alcuni settori, dove il Mezzogiorno ha difficoltà endemiche a recuperare gli svantaggi accumulati nel tempo, occorra addirittura più Stato e meno localismo. Ma dal lodo Maroni si può partire per cercare di assumere, da Sud, una posizione alternativa e unitaria di fronte agli spifferi che giungono dal Lombardo-Veneto.
Sotto questo versante, l’Iniziativa di De Luca è senz’altro da condividere. La via istituzionale della trattativa con il Governo, attivata dal governatore campano sul modello dell’Emilia Romagna, è quella più efficacemente orientata ad ottenere maggiori competenze e, sia pure in via indiretta e residuale, anche maggiori risorse. Sul punto, perciò, sarebbe auspicabile il coinvolgimento non solo delle altre regioni meridionali, Puglia in testa, ma anche delle forze politiche di opposizione. Le distanze tra gli schieramenti non sembrano essere abissali. Nulla esclude che il centrodestra e il Movimento 5 stelle possano condividere, supportare e partorire una iniziativa unitaria diretta a rivendicare con forza nuove prerogative per il Mezzogiorno. E lo stesso potrebbe fare, da subito, il Pd. Renzi sarà a Napoli in queste stesse ore. Se dedicasse cinque minuti della sua relazione a questi temi farebbe una cosa buona e giusta.