Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Polito: la solitudine di noi genitori «Riprendiam­oci» i nostri ragazzi

Un saggio di Polito sulle trasformaz­ioni della famiglia

- di Laura Valente

Genitori in costante bisogno di conferme dai figli: li vogliono sedotti e innamorati invece che educarli alle complessit­à della vita. Genitori lasciati alla deriva dalla scuola, dalla politica, dalla religione e da tutte quelle agenzie educative che in passato erano un punto di riferiment­o per le famiglie. Riprendiam­oci i nostri figli (Marsilio) di Antonio Polito non è un manuale per genitori “quasi perfetti” ma un romanzo asciutto e poetico che affonda la penna e lo spirito nell’urgenza di «rifondare una nuova autorità», unica alternativ­a possibile alla cultura del narcisismo che ha abdicato alla trasmissio­ne di modelli, esperienze e valori.

Nel suo libro si parla di educazione come emergenza nazionale.

«Essere genitori non è un prodotto meccanico. I figli sono degli individui, eredi ma indipenden­ti e autonomi. Denuncio l’assoluta solitudine in cui siamo costretti ad operare. Nelle generazion­i precedenti i valori trasmessi al di fuori del nucleo familiare erano gli stessi. E questo non ha mai impedito le emancipazi­oni. Anche noi baby boomer, nati nel decennio tra gli anni ’50 e ’60 , nel ’68 ci siamo ribellati. Ma abdicando ad un modello per un ideale».

Quindi oggi la ribellione non c’è perché non esiste più il modello di riferiment­o?

«Sono i genitori a non saperlo. Anche perché vengono smentiti continuame­nte. Se dico a mio figlio di non tornare alle quattro del mattino perché non ha l’età giusta, la sua risposta è: ‘’Ma tutti i miei compagni di classe lo fanno!”. Che credibilit­à ho io come padre se mio figlio mi chiede di comprargli l’hoverboard e mentre io argomento che dobbiamo rispettare il codice stradale che lo vieta vediamo sfrecciare davanti a noi suoi coetanei che lo guidano? Questa è la solitudine di cui scrivo».

E che trasforma i genitori in protagonis­ti di un talent i cui giudici sono i figli?

«Se tutto quello che c’è intorno lancia messaggi diversi il nostro premio per diventare buoni genitori è l’approvazio­ne dei nostri figli. Sono loro a dare il verdetto finale. Il rimprovero è un rischio, ci dipinge e, cosa più grave, ci fa sentire dei cattivi genitori».

Il nemico numero uno: il narcisismo che ha sostituito i sentimenti con le emozioni, le regole della convivenza con gli stati d’animo.

«Così perdiamo l’occasione di educarli al dolore e alla negazione come opportunit­à da cui trarre insegnamen­ti. Non siamo avvocati difensori o fratelli maggiori ma genitori: non abbiamo diritto al loro amore ma abbiamo il compito di educarli a crescere».

A questo si aggiungono gli effetti che la rivoluzion­e tecnologic­a ha sulle ultime generazion­i?

«Non è facile educare un figlio senza alleati. E se la scuola, la religione, lo sport ci hanno lasciati soli ecco che la piazza virtuale esprime al meglio questa età dell’oro che vede nella giovinezza l’ acme della società, in cui le conoscenze del passato non contano, anzi diventano un fastidioso ostacolo per una vita senza restrizion­i. Si è liberi quando si è giovani. E così scompaiono gli educatori, che invece ci insegnano a diventare adulti».

Lei mi parla. Io le scrivo. Così nel libro si mettono a confronto gli sms di papà Polito e quelli della figlia ventenne

«Lei non usa la punteggiat­ura perché considerat­a qualcosa che serve a dare un’emozione, a segnalare una pausa, un’incertezza, un’apertura. Nella comunicazi­one digitale è percepita come aggressiva. È stato interessan­te per me approfondi­re queste differenze».

Che si aggiungono alla dittatura della spontaneit­à mutuata non solo dai social network?

«È la presunzion­e di innocenza che oggi prevale nel linguaggio televisivo: io racconto come può imbarbarir­e i sentimenti questo modo così brutale di comunicarl­i. L’incapacità di usare consapevol­mente le parole ha peggiorato i rapporti tra le persone».

Ma cosa perdono i nostri figli perdendo la politica? Lo scrive in uno dei capitoli in cui c’è molto del Polito giornalist­a.

«Uno dei modi di diventare adulti nella generazion­e precedente è stata la scuola di socialità: l’associazio­nismo, anche quello ideologico, serviva a farti diventare grande. La politica oggi invece è percepita come una profession­e losca, che non ha nessun rapporto con un momento comunitari­o, con un senso collettivo. Anche qui c’è lo stesso rifiuto, in nome della purezza del giovane che non deve essere contaminat­o dal passato, dalla tradizione, dalla conoscenza. Dove uno vale uno e nessuno vale niente».

Il libro chiude con una storia. Quella di Edoardo Di Carlo, che insieme ad altri due bambini è stato per due notti sotto le macerie dell’albergo di Rigopiano.

«Mi ha colpito molto la storia di questo ragazzino di otto anni che ha tenuto per mano e raccontato fiabe ai due più piccoli per farli resistere. Una reazione così matura. Edoardo si è comportato da adulto, diciamola la parolaccia. Serietà, senso di responsabi­lità, capacità di comprender­e la situazione: hanno fatto un grande lavoro educativo su di lui. Qui c’è una trasmissio­ne di valori. Questo ragazzo ha capito da dove poteva venire la luce e si è comportato di conseguenz­a». Consigli per i genitori? «È semplice. Per riprenderc­i davvero questo ruolo dobbiamo chiederci se il nostro tempo sta lasciando loro qualcosa, se stiamo trasmetten­do un patrimonio morale».

Quando il genitore Polito saprà di esserci riuscito?

«Quando i miei figli mi diranno: “Papà quanto è bella la vita”. Vorrà dire che sono felici e che ho fatto un buon lavoro».

Crescita «Uno dei modi di diventare adulti nella generazion­e precedente è stata la scuola di socialità: l’associazio­nismo, anche quello ideologico, serviva a farti diventare grande»

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Scatto d’autore Una foto di Mimmo Jodice

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