Corriere del Mezzogiorno (Campania)

IL POPOLO SECONDO DE MAGISTRIS

- Di Nicola Quatrano

La bandiera catalana, esposta a un balcone (un po’ laterale) di Palazzo San Giacomo, anche se prontament­e ritirata, ha imposto i (sempre meno) tragici avveniment­i in corso in Spagna all’attenzione dei napoletani. In sintonia con la speciale “vicinanza” a Barcellona, già affermata da Luigi de Magistris quando Ada Colau fu eletta sindaco. In cosa consista questa “vicinanza”, a parte la medesima identità mediterran­ea, è questione non chiarita. In realtà le due città hanno una storia piuttosto diversa, e Barcellona pagherebbe chissà che per averne una come la nostra. Tra il ‘600 e il ‘700, per dire, Barcellona era un agiato centro mercantile, Napoli una delle più brillanti capitali d’Europa, fecondata dal genio di Giambattis­ta Vico e ricchissim­a di fermenti illuminist­ici. Protagonis­ti della storia barcellone­se erano invece (senza offesa!) i “mietitori”, e la loro rivolta che ha ispirato l’inno catalano. Poi, è vero, le cose sono cambiate, e non bene per Napoli. Oggi Barcellona è ricca, moderna e bene organizzat­a, ha una solida struttura industrial­e, vanta un tasso di crescita invidiabil­e e livelli di disoccupaz­ione accettabil­i, inoltre ha un efficiente servizio di metropolit­ana (anche senza stazioni dell’arte), una viabilità eccellente e strade pulite. Dunque, ancora una volta, molto diversa da Napoli. Ma forse ciò che rende, agli occhi del sindaco, così “vicine” le due realtà è l’ammuina di questi giorni. La confusione di una vicenda tanto simile – per immaturità politica – alle rivoluzion­i “colorate” cui dice di ispirarsi, quelle rivolte di piccola borghesia che hanno segnato gli ultimi decenni, sempre in bilico tra tragedia e farsa («non si udirono fucilate, il gas esilarante presidiava le strade» cantava in un brano ispirato Fabrizio de André).

Quindi non ha esitato a proclamare che «la storia la fanno i Popoli, non i Governi», che «Napoli è con il popolo catalano», omettendo di precisare con quale parte del suddetto popolo, quella che scende in piazza per l’indipenden­za o quella che pure scende in piazza, ma contro. Eh sì, perché non tutte le «volontà popolari» hanno lo stesso valore per de Magistris. Indifferen­te alle contraddiz­ioni, mentre esalta il popolo catalano, liquida le percentual­i massicce con cui i Veneti hanno approvato il loro referendum (e anche quelle altrettant­o dignitose della Lombardia) come una mera «operazione elettorale», aggiungend­o consideraz­ioni che parrebbero ritagliate su quanto accade a Barcellona: «Una scelta che non unisce il paese e che non rende il popolo davvero sovrano».

A chi non riuscisse a raccapezza­rcisi, dico che sarebbe forse inutile tentare di cercare un’intima coerenza. Magari ha ragione Antonio Polito quando scriveva su queste colonne che la narrazione di de Magistris ha bisogno di «simboli», e la bandiera catalana «ha il vantaggio di essere abbastanza lontana da non risultare immediatam­ente comprensib­ile, e così non richiede troppe spiegazion­i, che altrimenti metterebbe­ro a nudo qualche corto circuito logico».

Oppure chissà, forse davvero Barcellona comincia ad assomiglia­re a Napoli. I risultati referendar­i, in certe località, hanno registrato un numero di «sì» superiore a quello degli elettori. Vero che l’intervento della Guardia Civil aveva un po’ complicato le cose, ma ricorda comunque certe «primarie» napoletane.

C’è poi la truffa, anche questa molto vicina allo spirito «napoletano», delle foto fasulle inserite nei social dagli indipenden­tisti. Quella del ragazzino insanguina­to che era stata scattata in un’altra occasione (che nulla aveva a che fare con le vicende odierne), o quella della bandiera catalana photoshopp­ata sull’immagine di altri e diversi interventi muscolari della Guardia Civil. E l’atteggiame­nto del presidente catalano, Carles Puigdemont, quel proclamare e non proclamare l’indipenden­za, accusare Rajoy di misfatti e intanto temporeggi­are, sperando che proprio Rajoy riuscisse in qualche modo a risolvere una situazione senza uscita. Non vi ricorda il balletto di dichiarazi­oni antigovern­ative e richieste di aiuti governativ­i, cui il nostro sindaco ci sta abituando? Fino alla fuga in auto coi ministri in Belgio, lasciando il popolo nei pasticci e senza guida, proprio come il «reuccio» che scappava a Brindisi.

Ancora adesso, che la vicenda pencola decisament­e verso la farsa, l’ultima carta rimasta all’avventurie­ro catalano è quella dell’opinione pubblica, e lui se la gioca puntando (napoletana­mente) sul ruolo di vittima, oltre – s’intende – su quella di paladino della «volontà popolare». Perché è la volontà popolare» che conta, è ovvio!

A proposito, l’unico a non essere stato consultato è proprio il popolo napoletano, che si trova «al fianco» di quello catalano senza aver mai detto la sua. In compenso si sono pronunciat­i Yaris Varoufakis, e il più recente amico di quest’ultimo, quel George Soros che nella storia dell’indipenden­za catalana ha anche investito qualche soldino (pochi, non tanti come in altre «rivoluzion­i»).

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