Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Pep e Maurizio, grandi ma diversi

Il (falso) borghese elegante e il figlio di operaio che indossa la tuta Stereotipi che saltano quando è il campo a parlare: la stessa poesia

- Di Gaia Piccardi

Mai fidarsi di quelli che vanno in giro in tuta, scriveva quel vecchio sporcaccio­ne di Charles Bukowski, lettura giovanile – guarda caso – di Maurizio Sarri.

Perché il cachemirin­o color pastello del Pep debba essere più chic del felpone con cappuccio dell’uomo con la sigaretta in bocca è uno dei misteri (buffi) che stasera rotolerann­o sul prato del San Paolo insieme alle legittime ambizioni di un Napoli che non vestirà Prada, però gioca la stessa lingua del City, provincia arricchita di Manchester. Nel calcio degli stereotipi, delle etichette e dei luoghi comuni duri a morire Guardiola è il borghese (falso: è figlio di un muratore e di una casalinga) e Sarri l’operaio (papà lavorava all’Italsider di Bagnoli ma il figlio si è occupato di finanza interbanca­ria girando l’Europa), Guardiola l’elegantone (a Barcellona, forse, quando girava in abitucci attillati di sartoria) e Sarri il finto giovane in tuta («Mica devo fare l’indossator­e: devo allenare»), possibilme­nte sformata sulle ginocchia, citazione di Rocco e Liedholm, Sacchi e Lippi, segno distintivo di chi si accuccia spesso a filo d’erba per osservare le cose da una prospettiv­a oblomovian­a. Separati alla nascita, proprio no. Gemelli diversi, forse. Gli opposti che si attraggono, magari. Il Pep e Maurizio sono la prova provata che si può arrivare allo snodo per la Champions da strade diverse, però masticando lo stesso pane. Le interviste di Sarri sono piene di bip. Guardiola si tiene i moccoli per le situazioni di campo e quando sgrana il rosario in catalano nessuno lo capisce. A Sarri piacciono le metafore (anche ieri: «Se li portiamo nell’acqua alta non sono imbattibil­i») da quando sgambettav­a nella Figlinese e si faceva chiamare il Secco, però quando si tratta di spiegare a Mertens come entrare in area senza perdersi in fronzoli evita le perifrasi. Guardiola, al di fuori del cerchio delle amicizie più strette, è sempre stato di poche (ma buone) parole. Sarri è capace di puntare l’uomo, anche quando l’uomo si chiama Aurelio De Laurentiis. Guardiola piuttosto lo saltava, l’uomo, e ogni volta che ha potuto ha cercato di far perdere le tracce: per l’anno sabbatico ha scelto New York e nella Grande Mela tiene ancora casa (attico con vista su Central Park nell’Upper West Side). Sarri torna volentieri a Faella, frazione del comune di Castelfran­co, provincia di Arezzo, dove è cresciuto fiero delle sue origini: nonno Goffredo, partigiano, diede rifugio ai piloti di un aereo americano abbattuto in val d’Arno, il padre Amerigo gli ha insegnato ad amare tutti gli sport. In tuta, con quel linguaggio che sa di panni sciacquati in Arno e mai più candeggiat­i, Sarri è la provincia che sbarca nelle capitali del grande calcio europeo senza sentire il bisogno di passare da casa per cambiarsi d’abito. L’ipocrisia non gli appartiene, nemmeno quando da dietro i fondi di bottiglia guarda il cronista con gli occhi ingigantit­i dalle diottrie e inzuppati nel sogno. Provincial­e sarà lei, vorrebbe dirgli. E comunque, a modo suo, glielo fa capire. Pep è vicino al capolinea: «Non allenerò tutta la vita». A 46 anni ha molto vinto e molto vissuto, ogni giorno che passa vede il traguardo più vicino. Maurizio, a 58 anni, ha appena cominciato a godersela. La serie A con l’Empoli, cinque stagioni fa. Ora il Napoli da portare in paradiso. Tutto bene, fin qui. Però lo sfizio di appoggiare felpa, sigaretta e parolacce sulla panchina di una grande vecchia del calcio italiano (Juve, Milan, Inter insomma) prima di appendere la tuta al chiodo vorrebbe togliersel­o. Allenerà ancora quando Guardiola avrà smesso, succhiando avidamente fumo dall’ultima bionda e nuove idee dai caposaldi della sua filosofia. Pep somatizza ogni passaggio sbagliato, Sarri si diverte. Non sembra, ma si diverte. «Il mio lavoro mi piace, tutta sta sofferenza non la vedo». Non è antipatico, è che lo disegnano così. Però quando lascia che a parlare sia il pallone, sono le stesse rime baciate che quando è il Pep a pronunciar­e chiamiamo poesia.

Il mistero (buffo) Il cachemirin­o color pastello definito più chic del felpone con il cappuccio

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Gli allenatori Maurizio Sarri e Pep Guardiola, primi e imbattuti con le loro squadre in serie A e in Premier League

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