Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«Mamma e vigile, a Napoli non si può»
La poliziotta municipale: «Lascio il posto fisso Caos turni, ogni giorno si cambia orario e sede»
«Impossibile lavorare nei vigili urbani a Napoli, non riuscivo mai a conoscere i turni in anticipo e sono stata costretta a lasciare il posto fisso per accudire i miei figli». Paola Carotenuto scrive al sindaco.
«Vigile urbano e mamma? A Napoli è impossibile, o quasi». Parola di Paola Carotenuto, 42 anni, due bimbi (la più piccola ha un anno), vincitrice di concorso nella polizia municipale, che oggi ha deciso di licenziarsi, dopo soli dieci mesi di servizio. Caso più unico che raro, un vigile che lascia l’agognato posto pubblico. Tanto che i funzionari del Comune hanno avuto qualche difficoltà a ricevere le sue dimissioni. Tutto questo accade nella città che sbandiera quote rosa e tutele di genere.
Paola ha inviato una lettera al sindaco di Napoli in cui denuncia le proprie difficoltà familiari (bimbi piccoli e madre malata), inconciliabili con la turnazione non programmata che vige nel corpo di polizia municipale di Napoli, a differenza del resto d’Italia: «Da noi, all’agente viene comunicato turno e sede di lavoro via e-mail solo il pomeriggio del giorno prima». «Ho provato tutte le strade», scrive ancora la poliziotta, «istituzionali, sindacali e di tutela di genere, per trovare una soluzione che mi consentisse di evitare questa scelta estrema. Tutti hanno preso a cuore la mia situazione, tutti mi hanno detto che era una follia di questi tempi lasciare un lavoro pubblico a tempo indeterminato, ma nessuno ha potuto nulla contro l’ostinazione dell’amministrazione». Che non ha concesso alla «mamma vigile» né part time, né rinuncia alla turnazione (scelte che peraltro comportano decurtazioni nel pagamento). Unica possibilità, quindi, andare via. A meno di non approfittare in maniera un po’ disinvolta di congedi parentali e permessi per malattia bambino. «Ma non volevo percorrere questa via, credevo di riuscire a trovare un accordo».
Partiamo dall’inizio: quando ha deciso di diventare vigile urbano?
«In realtà sono laureata in Lettere. Ho lavorato nelle società di consulenza alla pubblica amministrazione, ma diventare vigile era uno dei miei sogni, mi piaceva l’idea del contatto con il pubblico. Ho fatto il concorso nel 2010 e sono stata chiamata dopo sette anni, nel dicembre scorso. Mi sentivo felice come Checco Zalone, dopo anni di attività nel privato. Eppure devo dire che è nel privato che ho ricevuto le maggiori tutele».
Quali sono le maggiori difficoltà per una mamma nella polizia municipale rispetto ad altri lavori?
«Non poter programmare. Conoscere i turni all’ultimo minuto significa doversi organizzare di conseguenza, cercare di sistemare giorno per giorno figli e madre... Avevo chiesto di rinunciare alla turnazione, poi il part time, perfino all’80 per cento, ma hanno preferito perdere una risorsa piuttosto che venirmi incontro».
Che significa perdere una risorsa? Non entrerà in servizio un nuovo vigile?
«No, non funziona così, non si può sostituire così una risorsa. In pratica avranno un vigile in meno».
Le è piaciuto fare il vigile per dieci mesi?
«È stata dura mettersi in gioco, spesso i vigili sono i capri espiatori più facilmente identificabili per i disagi dei cittadini. Ma è un lavoro mai monotono, che ti mette a contatto con la gente e ti fa conoscere in modo nuovo il tuo territorio».
Come è andata con i colleghi? E le colleghe?
«Ho avuto colleghi stupendi, grande calore umano, tutti preparatissimi, con un’alta percentuale di laureati. E le donne le ammiro tantissimo, alcune mamme riescono ad organizzarsi soprattutto con i nonni o con i mariti. Se poi marito e moglie fanno lo stesso lavoro hanno i turni sfalsati».
L’esperienza più bella?
«Aiutare le persone, ma soprattutto avere contatto con i turisti: sono stata in servizio nel quartiere Chiaia, ho vissuto come mai questo territorio».
La più brutta?
«Transennare le strade dove era in corso la deblattizzazione. Un incubo. Ma anche la lotta agli ambulanti, settore in cui si nascondono tante tragedie umane».
Ora cosa farà?
«Proverò a tornare nella società di consulenza per cui lavoravo prima. Lì mi sono sentita una persona, hanno tutelato tutti i miei diritti, nel pubblico spesso ho trovato un muro di gomma. Eppure quando sono entrata, dieci mesi fa, ero in allattamento».
E la famiglia è d’accordo?
«Abbiamo parlato a lungo di queste mie dimissioni. È stata una decisione condivisa. In particolare, mia madre mi vedeva troppo stressata. I miei bambini invece si divertivano se potevano venire a salutarmi».
Con chi ha parlato della sua situazione prima di licenziarsi?
«Con il capo staff dell’assessore Clemente, con una delegata dell’assessorato alle Pari opportunità, con i sindacati, con i miei capi». Perché ha scritto la lettera a de Magistris? «Perché anche se io esco sconfitta da questa storia, spero che la vicenda possa servire a migliorare le cose per le colleghe che non hanno come me un marito che lavora e un’attività precedente a cui poter tornare.
Qualsiasi datore di lavoro, e a maggior ragione una amministrazione pubblica, dovrebbe avere rispetto per uno dei principi fondanti di un paese civile, quale è quello della tutela della maternità».