Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Il liceo sequestrato e la palude grigia
Le ragazze e i ragazzi del Liceo Scientifico “P. S. Mancini” di Avellino, eccellenza scolastica formativa della Provincia di Avellino, confermata recentemente anche dalla premiazione, in Campidoglio, come «Scuola più innovativa d’Italia», da ventidue giorni sono senza scuola. Il giorno 3 novembre l’edificio, a seguito di Ordinanza del Gip del Tribunale di Avellino, è stata sottoposto a sequestro preventivo, a seguito di un esposto di un gruppo di genitori circa la sicurezza sismica dello stesso.
«Pertanto tutte le attività sono sospese fino a data da definire» è stato comunicato agli studenti, all’indomani del sequestro, con una nota della dirigente scolastica. Una tegola che si è abbattuta non solo sulla popolazione scolastica, ma sulla città, che continua in una dolorosa e forsennata chiusura delle strutture pubbliche, privandosi di una “normale” vita civile e culturale.
Da allora si sono susseguite manifestazioni, cortei, sit-in, incontri tra Provincia, Provveditorato, Dirigenza scolastica, Comitato genitori, Comitato professori per arrivare a una soluzione tampone: trasferire i 1200 alunni (56 classi), più di 200 insegnati, per non contare il personale amministrativo e ausiliario in cinque plessi scolastici, sparpagliati nella città, senza azzardare previsioni sul futuro della scuola.
Sono stata pure io una ragazza del “Mancini”. Ricordo i corridoi del secondo piani larghi, luminosi, le finestre alte che davano sul giardino di platani, la nostra aula della sezione A, al secondo piano, le aule di fisica dove calcolammo la costante K gravitazionale, l’aula di scienze, con le tavole del corpo umano alle pareti, ricordo la biblioteca, la stanza della preside dove entravamo in punta di piedi, le occupazioni studentesche, le manifestazioni per il diritto allo studio, per un nuovo sapere democratico. Ricordo soprattutto un glicine che fioriva a maggio, sul cancello di ferro battuto e si arrampicava fino alle finestre del primo piano. Mandava un profumo penetrante e dolce, che accompagnava i nostri ultimi giorni di scuola.
Potrei avere questi ricordi, se avessi passato gli anni della mia giovinezza in un liceo che, di fatto, non c’era, in aule rabberciate, in luoghi fluttuanti, in doppi turni pomeridiani? Che cosa avrei potuto rammentare di questi miei anni di scuola? Che il diritto allo studio non esiste, che una città come Avellino è un luogo da cui partire, perché non accoglie, che trascura il suo futuro, che lascia chiudere le scuole e non programma interventi mirati alla sicurezza degli edifici?
Tutto il nostro patrimonio scolastico è insicuro, perché viviamo in una terra ballerina. Tutto il nostro patrimonio edilizio è potenzialmente in pericolo, e allora che facciamo, chiudiamo la città e andiamo sparsi per il mondo, alla ricerca di una terra promessa più sicura?
Tuttavia, qualche soluzione, dopo ventidue giorni, vien fuori dalle Istituzioni, che hanno assistito inerti alla chiusura del Mancini. Visto che siamo in una città che conosce bene il precario vivere da terremotati, si rispolvera un’idea abusata e usata: allestire una nuova baraccopoli, (moduli prefabbricati in una zona non bene identificata della città) per ospitare gli studenti, proprio come accadde trentasette anni fa, dopo il sisma del 23 novembre. Sappiamo come queste soluzioni provvisorie siano diventate definitive, come per anni si sia fatto di necessità virtù sulla nostra pelle. La città conosce lo squallore dei containers, l’insufficienza degli spazi, eppure vuole ritentare la stessa cosa, gattopardianamente: far finta di trovare soluzioni che non risolvono. Una vecchia tattica felina, che sembra accontentare chi vuole essere accontentato e togliersi cavallerescamente dalla coscienza il peso del futuro di 1200 studenti. Una parte di questi, intanto, ha chiesto il Nulla Osta per passare ad altre scuole. Invano i docenti del Mancini denunciano, proprio oggi, l’inerzia delle Istituzioni, fanno appello al Presidente della Repubblica, paventano un forte calo delle iscrizioni per il prossimo anno scolastico.
Tutto naviga in una palude grigia.
Il liceo Mancini ha solo bisogno d’interventi strutturali, che vanno programmati e realizzati, dall’ente proprietario, che è l’Amministrazione Provinciale di Avellino: questo è l’uovo di Colombo. Basterebbe poco, per ristabilire l’equilibrio perduto, per realizzare una strategia vera di messa in sicurezza degli edifici scolastici. Per riportare quella scuola, e non solo quella, alla vita. Per dare alla città un andamento costante, pur nella sua grettezza provinciale.
In un’accorata lettera ai genitori, del 22 novembre, la dirigente scolastica scrive: «Essere cittadini responsabili è difficile. Essere genitori responsabili è difficile. Essere genitori del Liceo Mancini nel contesto recentissimo che si è venuto a creare è difficile…». Chissà cosa direbbe il grande Francesco De Sanctis, nato a Morra Irpina, Ministro dell’Istruzione, di questa nuova imprevista difficoltà.