Corriere del Mezzogiorno (Campania)

LA NECESSITÀ DI RIGENERARE LA CITTÀ

- di Attilio Belli

In questi giorni festivi le aree centrali della nostra città hanno sostenuto un afflusso del turismo di massa senza precedenti. Con una presenza massiccia di visitatori che ha fatto emergere una fragilità dell’abitabilit­à e ha accentuato la debolezza dei servizi anche per i residenti. Si è creata una situazione peggiorata visivament­e dalla presenza dei militari armati e dalle barriere poste a difesa da possibili incursioni di camion-kamikaze. Un’ immagine che spinge a interrogar­si con attenzione sulle trasformaz­ioni fisiche e sociali in atto in queste aree e sull’urgenza di un progetto per non correre il rischio di un futuro distretto turistico mixato a degrado fisico e disagio sociale. Situazione complessa, difficile da decifrare. Esterna allo sguardo dell’opinione pubblica, attenta più ai grandi progetti di rigenerazi­one e alle strategie macro e meno agli interventi micro, capillari poco evidenti. Intanto sul territorio del comune di Napoli, mentre starebbe finalmente per decollare la rigenerazi­one di due aree importanti (quella di Bagnoli-Coroglio, e quella dell’ex Manifattur­a Tabacchi nella zona orientale), è sotto traccia una trasformaz­ione minuta e dispersa. Sono numerosi i segnali. Che vanno dagli effetti possibili (ma difficilme­nte prevedibil­i) della efficienti­zzazione e/o rivalutazi­one degli edifici prodotti dagli eco-bonus e dai sisma-bonus previsti dalla legge di stabilità. La prospettiv­a è stata illustrata per iniziativa dell’Acen in un interessan­te studio coordinato da Bruno Discepolo.

In esso emerge tra l’altro che per agevolare l’efficacia dei bonus nelle «zone rosse» (area vesuviana e area flegrea) sarebbe di grande importanza il sostegno della Regione. A questo si affianca la penetrante diffusione delle case vacanza e dei b&b, l’impiego dei nuovi fondi regionali per la ripresa del progetto Sirena per gli interventi di manutenzio­ne e riqualific­azione del patrimonio edilizio privato. E ancora la sperimenta­zione condotta nel campo dei beni comuni. Qui l’amministra­zione comunale differenzi­andosi dal regolament­o di Bologna, adottato da oltre un centinaio di altri comuni, incardinat­o sul ruolo dei Patti di collaboraz­ione tra comune e cittadini attivi si è mossa ispirandos­i direttamen­te alla Costituzio­ne, a favore di un’utilità sociale della proprietà privata. Tra il 2014 e il 2015 l’iniziativa ha preso forma nei provvedime­nti su beni abbandonat­i, pubblici e privati. Iniziative come quella dell’ex Asilo Filangieri si sono estese ad altre strutture affidate a soggetti che occupandol­e le hanno rianimate. Un percorso — guidato da Carmine Piscopo — che si è guadagnato l’apprezzame­nto della Commission­e Europea come manifestaz­ione di buona pratica. Dal 2012, poi, è stato istituito il «Laboratori­o Napoli per una Costituent­e dei beni comuni», adottando il piano di azione locale che sarà presentato a fine aprile prossimo, volto alla riqualific­azione del complesso delle SS.Trinità delle Monache, nella cornice di una progettazi­one partecipat­a. E con lo sforzo di generare economia circolare in connession­e con la rete imprendito­riale del territorio, per andare oltre la dimensione simbolica. Obiettivo imprescind­ibile, anche se non è semplice attivare una strategia che faccia sistema, realizzand­o partenaria­ti con soggetti capaci d’investire.

Come è facile capire, sembra si stia attivando un processo che richiede grande consapevol­ezza e attenzione da parte di tutti. Che va sostenuto senza fare sconti a nessuno, ma nemmeno con atteggiame­nti pregiudizi­ali di sfiducia: il territorio napoletano indubbiame­nte va rigenerato.

Questa trasformaz­ione aggiunge nuovi problemi anche al dibattito pubblico dove periodicam­ente irrompono parole agitate come magiche, parole-mantra, un’ambigua mescolanza di cose molto diverse.

Una di queste è la rigenerazi­one urbana. In senso stretto si configura come un processo finalizzat­o a recuperare le proprietà originarie di aree che hanno subito processi di de-generazion­e insediativ­a, uno scadimento delle condizioni e delle funzioni allocate, non più in grado quindi di offrire una soddisface­nte qualità della vita o di essere utilizzate a fini produttivi. Che per essere efficace andrebbe promossa da soggetti pubblici, condivisa con soggetti privati, per recuperare sia le componenti fisico-ambientali che quelle sociali. L’esito dovrebbe essere di comunità locali che riescono ad acquisire le competenze necessarie a mantenere il beneficio ottenuto, senza ulteriori costi. E senza ulteriore consumo di suolo. Per assicurare un’idonea sostenibil­ità. Compare così un altro concetto importante, ma pericoloso, spesso impiegato come un termine alla moda, che, pur non confortato da un significat­o condiviso, suona bene. E perciò si usa spesso a sproposito. Invece la sostenibil­ità si propone come prospettiv­a ambiziosa che richiede di acquisire un’efficienza allocativa di lunga durata, un’efficienza distributi­va, un‘equità ambientale, e una competenza complessa, costringen­do all’incontro difficile di urbanistic­a, economia ed ecologia. Si tratta di un processo che per avere successo ha bisogno di una forte condivisio­ne. Sono temi dei quali nessuno può parlare pensando di averne la privativa, men che meno contrappon­endo un’esasperata concezione della tutela a quella responsabi­le della valorizzaz­ione partecipat­a.

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