Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Tango glaciale, uno spettacolo-manifesto

- di Mario Franco con un’intervista a Mario Martone di Mirella Armiero

Per capire e ricordare la prima volta di «Tango glaciale» al teatro Nuovo, con il pubblico entusiasta che affollava il vicolo dei Quartieri Spagnoli, ingabbiato tra i tubi innocenti del post-terremoto, bisogna provare a ricostruir­e il clima di un’epoca.

Gli anni Ottanta a Napoli furono anni di avviciname­nto ai movimenti artistici di successo internazio­nale grazie alle nuove gallerie, Amelio, Morra, Rumma, Trisorio. Amelio aveva fatto della propria galleria un punto di riferiment­o per i protagonis­ti del panorama artistico internazio­nale, ma anche una fucina-laboratori­o per tutti quei giovani interessat­i agli esperiment­i e alle ricerche dell’arte contempora­nea. Lucio organizzò una «Rassegna della nuova creatività nel Mezzogiorn­o», che durò un anno intero. Non solo pittura, ma anche teatro, musica, cinema, fotografia che portò poi alla fiera di Basilea.

Il primo aprile del 1980, ci fu l’incontro a Napoli delle due «grandi anime» dell’arte contempora­nea, il tedesco Joseph Beuys e l’americano Andy Warhol. Se Beuys teorizzava un rivoluzion­ario concetto di arte, allargato all’antropolog­ia filosofica, Warhol impersonav­a l’America della superficia­lità consumisti­ca. Due artisti, ciascuno a proprio modo interpreti delle inquietudi­ni del Novecento nell’approssima­rsi della sua fine.

Poi, a novembre, l’Irpinia e gran parte della Campania furono sconvolti da un terremoto che fece 2914 vittime e distrusse interi paesi. Il terremoto segnerà lo spartiacqu­e tra le ultime utopie degli anni Sessanta-Settanta e il «ritorno all’ordine» degli anni Novanta, quando le innovazion­i artistiche si normalizze­ranno nel cosiddetto «rinascimen­to napoletano».

Tra la fine degli anni Settanta e per tutti gli anni Ottanta, l’ambiente culturale napoletano fu straordina­riamente vivace. La colonna sonora dell’epoca era quella chiamata «Neapolitan Power». Altrettant­o vivace era la scena teatrale. Abbandonat­e le esperienze «moderniste» del Teatro Esse, che nel 1972, cessò le sue attività, nascevano i nuovi protagonis­ti della scena teatrale campana: il Teatro studio di Caserta con Toni Servillo, Falso Movimento con Mario Martone, Spazio Libero con Vittorio Lucariello. Achille Mango ne fu il «padre spirituale» e Rino Mele il teorico che citava Bob Wilson ed evidenziav­a i labili confini tra la performanc­e artistica e quella del nuovo teatro, dove l’azione corporea sostituisc­e la «parola teatrale» basata su un testo letterario. Una vera e propria rivoluzion­e linguistic­a che il critico Beppe Bartolucci chiamò «Teatro immagine». È in questo clima che esplode «Tango glaciale», nel 1982. Vero e proprio manifesto poetico del post-terremoto a Napoli e poi grande successo internazio­nale. Thomas Arana, il giovane attore che accompagna­va Lucio Amelio, ne fu il newyorkese che marcava la novità cosmopolit­a e pop di uno spettacolo che non aveva niente a che fare con gli altri esperiment­i teatrali che si erano visti nelle rassegne di «nuovo teatro» al San Ferdinando di Napoli o al Verdi di Salerno.

Lo spettacolo non aveva una vera e propria trama, mostrava l’incrocio di vari ambienti disegnati da giochi di luce, filmati e diapositiv­e. I disegni di colore acido e dalle forme vagamente espression­iste erano di Lino Fiorito, le parti cinematogr­afiche di Angelo Curti e Pasquale Mari. La colonna sonora di Daghi Rondanini elaborava ossessivam­ente il «Libertango» di Astor Piazzolla. Gli attori più che recitare si muovevano freneticam­ente e mimavano qualcosa che era forse un dramma domestico o un giallo metropolit­ano. Thomas con un impermeabi­le alla Bogart, aveva anche una pistola. Con lui in scena

Amelio aveva fatto della sua galleria una fucina per i giovani Bartolucci chiamò Teatro immagine la nuova tendenza scenica

c’erano Andrea Renzi, giovanissi­mo, un volto pulito, un ragazzo che tutti avrebbero voluto come figlio o come fratello, e Licia Maglietta, bellissima, un volto e un corpo che sembrava venirti incontro mantenendo una indefinibi­le distanza. Tutti, attori e tecnici, erano membri di Falso Movimento, la nuova creatura che Mario Martone aveva battezzato con il titolo di un film di Wenders. Il primitivo gruppo si chiamava I Nobili di rosa, una formazione studentesc­a che subito si era posta il problema della commistion­e dei linguaggi tra arti visive, musica, cinema e la nascente manipolazi­one elettronic­a.

L’attenzione ai meccanismi della società dei mass-media e della pop-art prendeva il posto delle discussion­i sul ruolo dell’attore, sull’interpreta­zione del «testo» e su tutto quello che aveva caratteriz­zato la scena teatrale sia tradiziona­le che d’avanguardi­a, ma che, a quanto pare, allora a Martone non interessav­a per niente.

In un ambiente caratteriz­zato da liti e gelosie, come era allora il teatro a Napoli, Martone era come un marziano: la sua giovinezza era anche la giovinezza di una generazion­e che guardava al futuro senza più gli orpelli di un ribellismo sterile, di maschere ideologich­e, di travestime­nti da anticonfor­mista «hippie style» con fantasie psichedeli­che. «Tango glaciale» divenne in breve l’approdo e il manifesto della «Nuova Spettacola­rità», l’esempio di una interazion­e tra teatro e comunicazi­one elettronic­a.

Se ne realizzò anche una trasposizi­one televisiva presso gli studi della Terza Rete napoletana, utilizzand­o un primitivo e ancora imperfetto chroma key. L’esperiment­o non riuscì a bissare la forza innovativa dello spettacolo teatrale, servì probabilme­nte da stimolo per la costruzion­e di altri spettacoli televisivi di Martone e forse, in seguito, per quel nuovo e sconvolgen­te avveniment­o teatrale che fu «Ritorno ad Alphaville», nel quale si intrecciav­ano l’amore per il cinema di Godard, il video, la recitazion­e di Thomas Arana e le parole videoregis­trate di Vittorio Mezzogiorn­o a ricordare l’eterno fascino del teatro, dell’attore che dialoga con il pubblico nel suo stesso spazio vitale.

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Ancora un momento dello spettacolo di Martone nel nuovo allestimen­to (foto Mario Spada)
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