Corriere del Mezzogiorno (Campania)

La Costituzio­ne va (ben) applicata Non criticata

- di Mario Rusciano

Nel suo fondo di venerdì scorso sul Corriere della

Sera, dal titolo «La Carta e gli elogi dei politici», Ernesto Galli della Loggia ricorda i settant’anni della Costituzio­ne notando il gap tra la scarsa attenzione popolare all’avveniment­o e l’enfasi ufficiale e istituzion­ale della ricorrenza. È il caso anzitutto di ricordare che la Carta fu solo firmata da De Nicola, De Gasperi e Terracini il 27 dicembre 1947, ma è entrata in vigore il 1° gennaio 1948. L’anniversar­io allora cade nel 2018 e quindi c’è un anno intero per celebrarla.

Speriamo, con la dovuta partecipaz­ione dei cittadini.

Galli della Loggia si dilunga poi, con taglio polemico, sulla buona fattura della Carta, elogiata più di quanto meriti; sull’uso che ne fa la «ufficialit­à italiana», intenta a rifugiarsi nel passato non avendo la capacità di guardare al futuro; e infine sul fatto che la Costituzio­ne si presta a essere usata nella lotta politica come «arma contundent­e».

Dal tono dell’articolo appare evidente che Galli della Loggia non è un ammiratore della Costituzio­ne. Poco male: la stessa Costituzio­ne garantisce a tutti la libertà di volerle o non volerle bene, purché ne rispetti in ogni caso le disposizio­ni. Sorprende però che uno storico del suo calibro confonda la qualità del documento con le tormentate vicende della sua applicazio­ne: dovute per lo più alle inadempien­ze del legislator­e, che ha lasciato non attuate varie disposizio­ni costituzio­nali. E per la verità sedici modifiche in settant’anni, su aspetti tutto sommato abbastanza marginali, non mi pare dimostrino la cattiva fattura della Carta. Del resto quanti la elogiano lo fanno per difenderne le regole se si tenta di stravolger­le; e se non vi si riesce, com’è avvenuto con la bocciatura in due referendum popolari a distanza di una diecina d’anni l’uno dall’altro, significa che il popolo magari è freddo nell’esaltazion­e, ma si accalora quando si tratta di salvaguard­are la sostanza del patto costituzio­nale.

Il quale, pur con le innegabili difficoltà, ha garantito la crescita democratic­a del paese attraverso il riscatto delle classi lavoratric­i e il mantenimen­to degli equilibri sociali. Che ciò sia dovuto anche alla retorica dei massimi principi – tra i quali libertà, solidariet­à, eguaglianz­a, partecipaz­ione ecc. – non pare possa essere oggetto di ironia, specie se si conosce quanto questi principi abbiano consentito alla Corte costituzio­nale di far penetrare lo spirito costituzio­nale nel tessuto economico e sociale del paese. Certo, la Carta (lo dice la parola stessa) è un documento formale: oltre che con l’ interpreta­zione di giudici e giuristi, essa vive soprattutt­o attraverso gli interventi del legislator­e. Confondern­e dunque la bontà e la forza prescritti­va con l’inerzia del legislator­e nel regolare adeguatame­nte organizzaz­ione e servizi dello Stato o addirittur­a con l’incapacità della classe politica di gestire il quotidiano della convivenza civile, preferendo usarla come «arma contundent­e» nella lotta politica, appare un’operazione intellettu­ale poco argomentat­a e francament­e incomprens­ibile. Sarebbe assai più logico dire che occorre più attuazione della Costituzio­ne se si vuole guardare al futuro.

Per esempio: regolare la rappresent­anza degli interessi organizzat­i; far funzionare efficaceme­nte le pubbliche amministra­zioni; potenziare i sistemi di formazione profession­ale e di educazione civile; ampliare la partecipaz­ione democratic­a e la responsabi­lità dei lavoratori nei progetti di modernizza­zione del paese.

Tutti programmi che la Costituzio­ne contempla senza ambiguità, ma che non riescono a vedere la luce. Altro che retorica della memoria o aura di «sacralità» della Carta, che non servono a nessuno; qui si tratta di impegnarsi a rispettare e a rafforzare un patto costituzio­nale: che è servito, serve e servirà alla coesione sociale del paese. E per noi del Sud questo non è di poco conto.

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