Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Baby gang accerchia l’esercito

Lungomare, tre ragazzi tentano di salvarsi dietro ai soldati di pattuglia: picchiati lo stesso

- di Fabio Postiglion­e

Di sabato, alle 23.30, il Lungomare di Napoli è un immenso fiume di ragazzi di ogni età. Da una parte il mare e lo spettacolo mozzafiato della collina di Posillipo, che luminosa si «addormenta» nel Golfo, dall’altra le pizzerie e i ristoranti pieni zeppi di famiglie.

Nel «mondo di mezzo» centinaia di giovani passeggian­o in gruppi. Soffia vento freddo, ma finalmente non piove. In tanti decidono di passare qualche ora a Chiaia, il salotto «buono» della città e in lontananza si sentono i clacson delle auto incolonnat­e lungo via Caracciolo, in cerca di un «buco» per parcheggia­re. È un giorno esattament­e come gli altri. Poi il caos. Improvviso, ingestibil­e, inspiegabi­le. Le urla delle donne sono da sceneggiat­a e le frasi inequivoca­bili: «Uccideteli», gridano. Sono loro ad accendere gli animi di un gruppo di almeno trenta ragazzi che non aspetta altro e inizia ad inseguire, tra folla, tre giovani colpevoli di aver rivolto un sorriso di scherno ad una giovane, poco più che bambina, molto appariscen­te, che indossa una pelliccia fucsia.

Colpevoli di aver preso in giro la «regina» del gruppo che come una donna-boss incita alla vendetta senza pietà: «Ti spezzo le gambe», urla da lontano. Eccolo il «branco» di baby-gang. Ecco come si muove, come agisce, come ferisce e come, con spavalderi­a, sfida le forze dell’ordine e poi sparisce del tutto, mischiando­si alla gente impaurita. Una strategia del terrore che a Napoli sta seminando il panico. Dieci ragazzi accoltella­ti dall’inizio di dicembre ad oggi, altri due con il setto nasale rotto e uno, Gaetano, 15 anni, con una milza spappolata a calci e pugni da un gruppo di dieci minorenni. Il Corriere del Mezzogiorn­o ha deciso così di provare a stanare quei ragazzini in azione, di capire come riescono ad entrare in contatto con gli altri gruppi di giovani e come scelgono le loro vittime. È bastato aspettare e passeggiar­e tra loro con una birra tra le mani, avanti e indietro per il Lungomare.

Ogni occasione è buona per far scoppiare la rissa e lo si capisce da come si scrutano gli uni con gli altri, come se la strada fosse un ring dove battersi. Ed è stato così sabato sera alle 23.45, lungo la strada che dovrebbe essere la cartolina della città, il biglietto da visita per i turisti, il porto sicuro per i cittadini. In trenta si sono scagliati contro tre ragazzini, solo perché hanno osato sorridere a una loro amica. È vietato. Nella legge del «branco» è vietato. Ma in realtà è vietato tutto, anche abbassare lo sguardo e camminare, anche chiedere scusa, anche indossare un capo firmato, perché loro vogliono picchiare e farlo davanti a tutti, come in un film, peggio che in «Gomorra». Così riescono ad accreditar­si agli occhi degli adulti, dei boss, del «branco» e a quelli delle loro ragazzine che durante la caccia all’uomo di sabato sera hanno continuato ad incitare alla «guerra». E picchiano anche davanti alle forze dell’ordine, senza paura di essere presi perché nessuno può fermare la furia di trenta ragazzini, che agiscono come uno squadrone militare. Uno alla volta e da tutte le parti così da far perdere l’orientamen­to alle vittime, così da infliggere più danni possibili e nel più breve tempo possibile: non è un attacco improvvisa­to. Sono degli specialist­i. Gli «agnelli sacrifical­i» del Lungomare questa volta sono tre amici di San Giovanni a Teduccio, periferia est di Napoli. Uno di loro è alto, un bel ragazzo, capelli rasati ai lati e ciuffo «gelatinato» all’ultima moda. Si incrociano per loro sfortuna con un altro gruppo, molto numeroso. Cinque e tutti ragazzi tra i dieci e quindici anni, almeno così sembra. Omologati: jeans stracciati, scarpe nere, bomber, sciarpe scure. Si guardano e scatta l’azione. I tre capiscono subito che si mette male e fuggono verso la zona della «colonna spezzata». Lì c’è una camionetta dell’Esercito con due militari di «strade sicure»: hanno i Kalashniko­v al collo, armati

La banda Trenta minorenni reagiscono a un sorriso A spronarli alla violenza una tredicenne

di colpo in canna. Chiedono aiuto ma il «branco» ha deciso: «Quei tre devo abbuscare», essere picchiati. E così il gruppo avanza compatto e si fa sempre più rumoroso e numeroso. Accerchia la camionetta dove si sono rifugiati le tre vittime. Mentre due di loro, petto in fuori, cercano di affrontare i militari che si frappongon­o al «branco», gli altri colpiscono i ra-

gazzi più volte con pugni al volto. È una tattica: due distraggon­o e due colpiscono. «Ti spezzo le gambe, ti ammazzo, non farti più vedere». Lo fanno anche la seconda volta, e il rumore dello schiaffo è fortissimo. Il sangue freddo dei due militari dell’Esercito scongiura però il peggio. Via radio sono stati chiamati i rinforzi, mentre cercano di calmare gli animi, ma è impossibil­e:

Rinforzi Solo l’intervento dei carabinier­i riesce a mettere in fuga gli aggressori

«Ti dobbiamo uccidere», urlano contro il ragazzo impaurito che dice di non aver fatto nulla. I carabinier­i arrivano in pochissimi attimi, ma uno del «branco» era un po’ più indietro di vedetta, lancia immediatam­ente il segnale: «’E guardie, ‘e guardie, sciogliete, sciogliete». E miglior termine non poteva scegliere. Tutti in fuga in direzioni diverse: sciolti nel nulla. Dissolti. Le vittime, con ancora i segni sul volto dei violenti schiaffi e pugni incassati, raccontano quello che hanno visto e subìto: «Erano tanti, non abbiamo fatto niente, veramente non abbiamo fatto nulla». Ma a Napoli si può essere uccisi, finanche, da innocenti.

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