Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Baby gang accerchia l’esercito
Lungomare, tre ragazzi tentano di salvarsi dietro ai soldati di pattuglia: picchiati lo stesso
Di sabato, alle 23.30, il Lungomare di Napoli è un immenso fiume di ragazzi di ogni età. Da una parte il mare e lo spettacolo mozzafiato della collina di Posillipo, che luminosa si «addormenta» nel Golfo, dall’altra le pizzerie e i ristoranti pieni zeppi di famiglie.
Nel «mondo di mezzo» centinaia di giovani passeggiano in gruppi. Soffia vento freddo, ma finalmente non piove. In tanti decidono di passare qualche ora a Chiaia, il salotto «buono» della città e in lontananza si sentono i clacson delle auto incolonnate lungo via Caracciolo, in cerca di un «buco» per parcheggiare. È un giorno esattamente come gli altri. Poi il caos. Improvviso, ingestibile, inspiegabile. Le urla delle donne sono da sceneggiata e le frasi inequivocabili: «Uccideteli», gridano. Sono loro ad accendere gli animi di un gruppo di almeno trenta ragazzi che non aspetta altro e inizia ad inseguire, tra folla, tre giovani colpevoli di aver rivolto un sorriso di scherno ad una giovane, poco più che bambina, molto appariscente, che indossa una pelliccia fucsia.
Colpevoli di aver preso in giro la «regina» del gruppo che come una donna-boss incita alla vendetta senza pietà: «Ti spezzo le gambe», urla da lontano. Eccolo il «branco» di baby-gang. Ecco come si muove, come agisce, come ferisce e come, con spavalderia, sfida le forze dell’ordine e poi sparisce del tutto, mischiandosi alla gente impaurita. Una strategia del terrore che a Napoli sta seminando il panico. Dieci ragazzi accoltellati dall’inizio di dicembre ad oggi, altri due con il setto nasale rotto e uno, Gaetano, 15 anni, con una milza spappolata a calci e pugni da un gruppo di dieci minorenni. Il Corriere del Mezzogiorno ha deciso così di provare a stanare quei ragazzini in azione, di capire come riescono ad entrare in contatto con gli altri gruppi di giovani e come scelgono le loro vittime. È bastato aspettare e passeggiare tra loro con una birra tra le mani, avanti e indietro per il Lungomare.
Ogni occasione è buona per far scoppiare la rissa e lo si capisce da come si scrutano gli uni con gli altri, come se la strada fosse un ring dove battersi. Ed è stato così sabato sera alle 23.45, lungo la strada che dovrebbe essere la cartolina della città, il biglietto da visita per i turisti, il porto sicuro per i cittadini. In trenta si sono scagliati contro tre ragazzini, solo perché hanno osato sorridere a una loro amica. È vietato. Nella legge del «branco» è vietato. Ma in realtà è vietato tutto, anche abbassare lo sguardo e camminare, anche chiedere scusa, anche indossare un capo firmato, perché loro vogliono picchiare e farlo davanti a tutti, come in un film, peggio che in «Gomorra». Così riescono ad accreditarsi agli occhi degli adulti, dei boss, del «branco» e a quelli delle loro ragazzine che durante la caccia all’uomo di sabato sera hanno continuato ad incitare alla «guerra». E picchiano anche davanti alle forze dell’ordine, senza paura di essere presi perché nessuno può fermare la furia di trenta ragazzini, che agiscono come uno squadrone militare. Uno alla volta e da tutte le parti così da far perdere l’orientamento alle vittime, così da infliggere più danni possibili e nel più breve tempo possibile: non è un attacco improvvisato. Sono degli specialisti. Gli «agnelli sacrificali» del Lungomare questa volta sono tre amici di San Giovanni a Teduccio, periferia est di Napoli. Uno di loro è alto, un bel ragazzo, capelli rasati ai lati e ciuffo «gelatinato» all’ultima moda. Si incrociano per loro sfortuna con un altro gruppo, molto numeroso. Cinque e tutti ragazzi tra i dieci e quindici anni, almeno così sembra. Omologati: jeans stracciati, scarpe nere, bomber, sciarpe scure. Si guardano e scatta l’azione. I tre capiscono subito che si mette male e fuggono verso la zona della «colonna spezzata». Lì c’è una camionetta dell’Esercito con due militari di «strade sicure»: hanno i Kalashnikov al collo, armati
La banda Trenta minorenni reagiscono a un sorriso A spronarli alla violenza una tredicenne
di colpo in canna. Chiedono aiuto ma il «branco» ha deciso: «Quei tre devo abbuscare», essere picchiati. E così il gruppo avanza compatto e si fa sempre più rumoroso e numeroso. Accerchia la camionetta dove si sono rifugiati le tre vittime. Mentre due di loro, petto in fuori, cercano di affrontare i militari che si frappongono al «branco», gli altri colpiscono i ra-
gazzi più volte con pugni al volto. È una tattica: due distraggono e due colpiscono. «Ti spezzo le gambe, ti ammazzo, non farti più vedere». Lo fanno anche la seconda volta, e il rumore dello schiaffo è fortissimo. Il sangue freddo dei due militari dell’Esercito scongiura però il peggio. Via radio sono stati chiamati i rinforzi, mentre cercano di calmare gli animi, ma è impossibile:
Rinforzi Solo l’intervento dei carabinieri riesce a mettere in fuga gli aggressori
«Ti dobbiamo uccidere», urlano contro il ragazzo impaurito che dice di non aver fatto nulla. I carabinieri arrivano in pochissimi attimi, ma uno del «branco» era un po’ più indietro di vedetta, lancia immediatamente il segnale: «’E guardie, ‘e guardie, sciogliete, sciogliete». E miglior termine non poteva scegliere. Tutti in fuga in direzioni diverse: sciolti nel nulla. Dissolti. Le vittime, con ancora i segni sul volto dei violenti schiaffi e pugni incassati, raccontano quello che hanno visto e subìto: «Erano tanti, non abbiamo fatto niente, veramente non abbiamo fatto nulla». Ma a Napoli si può essere uccisi, finanche, da innocenti.