Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Tango glaciale
Martone: lo ripropongo per farlo vedere ai giovani
Cattivi modelli Gomorra non crea il crimine, che c’è e basta Casomai il genere svela la cecità di Napoli nei confronti delle sue periferie che così prendono voce
Anteprima nazionale al Piccolo Bellini «Nacque nel clima di resistenza culturale degli anni Ottanta»
Non è il vagheggiamento del passato che ha spinto Mario Martone ha riportare in scena il suo mitico spettacolo del 1982, «Tango glaciale». È invece il suo sguardo rivolto in avanti, verso il futuro, che lo ha convinto a cedere alle pressioni di Marinella Guatterini. Da anni la critica e studiosa della danza lo pregava di riportare in vita un lavoro che era stato pietra miliare della post avanguardia italiana. «Ma io non volevo riproporre uno spettacolo nato in un’epoca e in una condizione ben precise», spiega Martone alle prese con gli ultimi aggiustamenti nella sala del Piccolo Bellini (questa sera l’anteprima nazionale). È emozionato senza darlo troppo a vedere, guarda le belle foto di scena di Mario Spada, dialoga con Raffaele Florio.
Martone, allora? Cosa è successo per spingerla a cambiare idea?
«Mi sono deciso quando ho pensato alle nuove generazioni. Le mie titubanze riguardavano quelli che hanno già visto lo spettacolo... mi chiedevo come avrebbero preso la riproposizione. Ma ha prevalso l’interesse a constatare come reagiranno quelli che non lo hanno mai visto, che magari all’epoca non erano nemmeno nati. Su questo si è aperto il varco e ho detto di sì...».
In effetti da qualche anno ha a cuore in modo particolare il lavoro con i giovani, che si è concretizzato di recente nella messinscena del «Sindaco del Rione Sanità» con gli attori del Nest di San Giovanni a Teduccio.
«Anche nel mio nuovo film “Capri Batterie” il cast è tutto al di sotto dei 30 anni. Oggi le nuove generazioni spesso sono viste come il male, i giovani sono considerati privi di ogni valore. Io non lo credo affatto. Ma per conoscere davvero chi ha meno anni di te l’unica è creare un rapporto, lavorare insieme».
Inevitabile la domanda sui modelli artistici «negativi»: davvero «Gomorra» lo è?
«Gomorra non crea il crimine. Il crimine c’è. Gomorra è un genere e la nascita di un genere è sempre qualcosa di potente. Fenomenologicamente svela la cecità di Napoli nei confronti delle sue periferie. Attraverso Gomorra la periferia prende voce, reclama di essere vista, afferma la propria identità e questo è un fatto significativo».
Tornando a «Tango glaciale», lo spettacolo viene riproposto filologicamente?
«In effetti sì, è stato un lavoro di restauro. Ma ho scelto di non farlo in prima persona: il riallestimento è a cura di Raffaele Di Florio e Anna Redi, che avevano amato da giovanissimi lo spettacolo. Anna era una ragazzina punk, venne a vedere “Coltelli nel cuore” al Teatro Mediterraneo, ma senza biglietto. Tomas Arana la prese in simpatia e la fece entrare. Raffaele vide “Tango glaciale” a soli quindici anni».
Come è stato possibile ricostruire la messinscena fin nei dettagli?
«Grazie a un video che divenne a sua volta un cult e che fu realizzato per la Rai di Napoli. Era una versione del lavoro realizzata con il
chroma key, che allora era una grande novità. In pratica era uno dei primi esperimenti di videoteatro. Poi abbiamo usato anche foto, documenti, ricostruzione delle scenografie».
«Tango glaciale» era uno spettacolo di forte innovazione, oggi reggerà la riproposizione «archeologica»?
«Questo non sta a me giudicarlo, lo diranno gli spettatori. Certo, lo spettacolo era innovativo, ma non per le tecnologie, quanto per il codice visivo, per il linguaggio esploso».
Mancano però gli interpreti originali.
«Naturalmente. Licia Maglietta, Andrea Renzi e Tomas Arana erano straordinari. A Tomas dovemmo gran parte della fortuna internazionale del lavoro. Ma bisogna avere fiducia nelle nuove possibilità, andare avanti. Abbiamo fatto molti provini e alla fine abbiamo preso due attori dalla scuola di Torino, questo mi fa molto piacere visto che ho appena concluso la mia direzione dello Stabile torinese, e un terzo di formazione più coreografica che teatrale. Renzi ci ha aiutato nelle selezioni e Licia verrà venerdì a vedere lo spettacolo. Tomas no, è all’estero. Poi ci sono tanti che hanno partecipato alla prima edizione dello spettacolo e hanno lavorato con entusiasmo alla seconda, come Ernesto Esposito per i costumi e Daniele Bigliardo per le ambientazioni grafiche. Tra l’altro Bigliardo ha fatto parte dalla Scuola di Comix che ha tenuto a battesimo talenti come quello di Alessandro Rak con la sua Gatta Cenerentola. È bello che ci sia questo filo rosso».
«Tango glaciale» faceva parte di un campo di ricerca teatrale che andava in direzione della gestualità a discapito della parola. Poi nel suo percorso l’ha recuperata, incontrando anche la nuova drammaturgia napoletana.
«Effettivamente all’inizio il nostro lavoro era indirizzato a una poetica di superamento della parola. Dopo “Tango glaciale” facemmo un “Otello” senza testo, poi il “Desiderio preso per la coda”, “Coltelli nel cuore”, fino a “Ritorno ad Alphaville” che poneva la questione del linguaggio. Questione tra l’altro che ripropongo in “Capri Batterie”».
Cosa resta oggi? Quali eredità di quelle esperienze?
«Dopo di noi sono nati gruppi che con Falso Movimento si sono dichiaratamente messi in rapporto, da Vera Stasi fino ai Motus, che considero una delle migliori realtà del teatro italiano».
Ai tempi di Falso Movimento però la poetica delle avanguardie era più esplicita, la direzione della ricerca pure. Oggi non trova ci sia una maggiore frammentazione?
«Negli anni Ottanta c’erano le ultime propaggini delle avanguardie storiche e c’erano ancora dei guru come il critico Giuseppe Bartolucci, a cui erano legati gruppi come Il Carrozzone, la Gaia Scienza, Raffaello Sanzio e noi stessi. Oggi non c’è più nulla del genere, ma è sterile guardare ai bei vecchi tempi. La frammentazione di oggi corrisponde al tempo presente».
Anche il clima napoletano era assai diverso?
«Sì, nella Napoli del dopo terremoto il clima culturale era molto reattivo. Erano gli anni di Lucio Amelio e di altre splendide esperienze. La città mostrò una forza creativa ineguagliabile proprio mentre era distrutta dalla corruzione, dal malaffare, dalla camorra. Sul piano politico si concretizzavano scenari inqualificabili, mentre Napoli trovava un’alternativa creativa. Ecco, era una vera e propria resistenza culturale».
Accade anche oggi?
«Oggi la questione prevalente è un’altra, è quella del turismo di massa. In questo Napoli segue la tendenza mondiale. Si viaggia non per conoscere qualcosa, dal momento che tutto è già conosciuto, ma per riconoscere. Il mondo si autorappresenta e così Napoli. Tutti noi della nostra generazione rimpiangiamo l’autenticità smarrita delle città, dei luoghi di un tempo. La bellezza di Napoli la mette al centro di questi flussi turistici che hanno anche un risvolto positivo per l’economia, ma che naturalmente creano altri problemi. È una trasformazione estetica e morale del mondo, eppure a Napoli l’autorappresentazione è un’arte antica e forse più sviluppata che altrove. Questo alla fine la può aiutare».