Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Carlo Alfano L’artista e il suo doppio
Dal Mart ad Artefiera, torna sotto i riflettori l’opera del grande artista napoletano che indagò lo spazio, il tempo e la rifrazione
Fra le numerose immagini che ritraggono Carlo Alfano, contenute nella corposa monografia realizzata per la retrospettiva allestita al Mart di Rovereto, ce n’è una che sintetizza al meglio l’universo immaginifico e teorico dell’artista napoletano, scomparso nel 1990.
La foto del 1988 porta la firma di Mimmo Jodice e ritrae Alfano mentre pensieroso con la sigaretta fra le dita si specchia in «Camera», una figura sdoppiata fra visione anteriore e posteriore, al centro dello spazio buio dell’opera come una sorta di crocefisso inquieto e senza croce. In questo rifrangersi e replicarsi dell’artista e del suo doppio, parafrasando Artaud e la sua necessità di catarsi, si ritrovano infatti tutte le ragioni del suo metodo, linguistico e filosofico, che indaga lo spazio e il tempo, l’individuo e l’altro da sé. Tutti temi presenti nel volume, Carlo Alfano. Soggetto spazio soggetto, che sarà presentato oggi alle 16 all’Artefiera di Bologna. Un libro curato dalla figlia e storica dell’arte Flavia Alfano, Denis Isaia e Gianfranco Maraniello, autori dei saggi in catalogo insieme a Maria De Vivo, Stefano Ferrari e Andrea Viliani.
Il progetto tende a risistemare criticamente, ma con un occhio molto attento anche alla sfera più personale dell’artista, un percorso che, partendo dalle 50 opere esposte, va dalla fine degli anni ’50 e fino alla fine degli ’80. Un viaggio che parte da Napoli, muovendosi dall’iniziale realismo, passando poi per l’informale e, dopo una parentesi vicina all’optical della fine degli ani ’60, giungendo infine a un’originale lettura del fenomeno concettuale, comunque ancorato alle sue matrici figurative di eccellente disegnatore, che gli ha regalato attenzione e consenso nel resto d’Italia ma soprattutto in Europa. In particolare in Germania dove si confrontò spesso con lo storico dell’arte Erich Steingräber. E tutto ciò in un continuo proiettarsi dentro e fuori di sé, mentale e fisico, mantenendo ben stabile una sua idea di luogo, non sentimentale ma necessaria: la sua residenza partenopea e lo studio di Riviera di Chiaia, vero e proprio «buen retiro» di una personalità riservata sul piano professionale per quanto affabile e aperta negli incontri esterni.
«Può sembrare paradossale – racconta Flavia – ma mio padre riusciva solo a Napoli a ritrovare un silenzio interiore necessario al suo lavoro, prendendo le distanze dal frapassione gore che lo circondava». Una notazione che arricchisce la grande quantità di appunti, notazioni, taccuini di viaggio, disegni e fotografie, che fanno parte di un prezioso archivio che si arricchisce via via di spunti preziosi per la conoscenza del suo modo di operare. In particolare le fotografie, che in passato erano state rubricate come note di memoria, ma che a ben guardare rappresentano invece opere in sé, per lo più autoscatti in cui Alfano colloca se stesso, il suo corpo all’interno di composizioni sempre dominate da un forte rapporto plastico e chiaroscurale, figlio della sua per la pittura di Caravaggio e dei suoi seguaci e in cui ritrovare il proprio modo di guardare e percepire la realtà». Una percezione che in molti hanno provato a collocare come limitrofa a questo o quell’artista internazionale. «Un tentativo vano – prosegue Flavia Alfano – perché troppa è la distanza che lo separa da altre espressioni dell’arte concettuale», quel linguaggio fermo spesso solo a dimensioni di scrittura calligrafica o all’utilizzo del non senso come unica via d’uscita dal conformismo della narrazione. E invece Alfano resta pittore sempre, proprio in quella relazione spazio-temporale col sé e il fuori di sé, che ne accompagna l’attività, ben testimoniata dalla mostra trentina che, a sedici anni di distanza, segue quella di Castel dell’Ovo del 2011.
Ma perché Rovereto e non ancora Napoli, la sua città? «In realtà – conclude Flavia – c’erano stati contatti anche qui, proprio con il Madre. Ma evidentemente il Mart si è rivelato più pronto a realizzare un allestimento così ampio. Ma nulla esclude che presto questo ciclo non si possa proporre con le dovute novità anche a Napoli e, perché no, proprio al Madre, magari presentando la monografia e puntando sulle opere ma anche su una corposa dimensione documentaristica».