Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Se «Il Mattino» dimentica nomi e cognomi
(e.d’e.) Se un abituale lettore de Il Mattino si trovasse, per caso, a sfogliare oggi le nostre pagine, sappia in primo luogo che è il benvenuto. E sappia anche, come avrà sperimentato di persona, che questo giornale esiste, ha un nome e firme leggibili.
A dispetto della reticenza ostentata ieri, per l’ennesima volta, dal quotidiano di via Chiatamone, che già nei giorni scorsi aveva dedicato due pagine alla relazione del pg Luigi Riello sulla criminalità minorile senza mai citare Antonio Polito, l’autore della nostra rubrica domenicale da cui il magistrato aveva tratto spunto per il suo intervento.
Lasciamo da parte le ragioni della concorrenza, le leggi di mercato e altre faccende simili: ciascuno va per la sua strada e sarebbe poco elegante menar vanto qui dei nostri successi. È una questione di stile e di buona informazione quella che solleva l’editoriale pubblicato appunto ieri, in apertura della cronaca cittadina, dal più importante quotidiano della Campania.
Il commento – firmato, tra l’altro, da un ottimo giornalista qual è Vittorio Del Tufo – innescava una polemica aspra con quanto, su queste colonne, aveva scritto ventiquattr’ore prima Nicola Quatrano sul dialogo (chiamiamolo così…) televisivo tra Maria Luisa Iavarone, la mamma di Arturo (il ragazzo accoltellato in via Foria), e la madre di uno dei giovani accusati dell’aggressione.
Quatrano, sostanzialmente, poneva l’accento sugli effetti collaterali del voler a tutti i costi spettacolarizzare due dolori diametralmente opposti ma anche due mondi (e due livelli culturali) fatalmente impari in un confronto ravvicinato. Era una tesi – a mio avviso condivisibile – che ovviamente poteva essere contestata, al pari di ogni tesi.
Il Mattino – come era lecito – ha intonato il controcanto ma si è guardato bene dal citare la fonte della sua indignazione. Paura di fare pubblicità alla concorrenza? Boh. Vetusta abitudine a considerarsi il depositario dell’informazione cittadina? Forse.
Sta di fatto che il malcapitato lettore di quel giornale è stato costretto a sorbirsi due colonne di reprimenda indirizzate a un fantasma abilmente celato dietro espressioni tipo «una parte dell’intellighenzia cittadina», «cosiddetta società civile», «in certe élite culturali» e via di seguito. Ma si può polemizzare seriamente con qualcuno senza indicarne almeno il nome e il cognome? Perché, poi, sottrarre al lettore un’informazione decisiva per capire di cosa si sta parlando? Sommando due più due, ne vien fuori che il
Corriere del Mezzogiorno è la voce di «una parte dell’intellighenzia cittadina» o di «certe élite culturali», il che ci fa onore ma non ci rende giustizia. Abbiamo ambizioni più variegate: offrire ai cittadini campani e pugliesi (le nostre due aree di diffusione) un’informazione seria, completa e puntuale affiancata da un dibattito che sia il più laico possibile.
Se Il Mattino vorrà replicare ancora ai nostri commenti, ne saremo lusingati: «la libertà delle idee» è lo slogan che il Corriere ha scelto per festeggiare i suoi 150 anni. Ma le idee non nascono sotto i cavoli o nei pettegolezzi da salotto: quando finiscono sui giornali acquistano un’identità che merita rispetto e, se possibile, un pizzico d’eleganza.
Per quanto riguarda, infine, le obiezioni avanzate ieri da Vittorio Del Tufo nel suo editoriale, una breve replica: 1) Nessuno dei ragazzi accusati dell’aggressione ad Arturo è stato condannato, anzi neppure processato. E un giornale che ha condotto battaglie in nome del garantismo dovrebbe ricordarselo, soprattutto quando di scena sono adolescenti a loro volta «vittime» di un contesto sociale, economico e culturale da terzo mondo. La presunzione d’innocenza non vale soltanto per «certe élite» professionali o imprenditoriali. 2) Nel suo intervento, Nicola Quatrano aveva indicato un esempio di passione civile nella storia di Franca Di Blasio, l’insegnante sfregiata in classe da un alunno, capace di andare oltre il recinto del suo dolore privato e di interrogarsi sulla funzione del suo mestiere di fronte al disagio che sta decapitando il destino di una generazione. Quella professoressa non ha rilasciato interviste, né è andata in giro con le troupe televisive al seguito: ha fatto molto di più mettendoci di fronte a una domanda che riguarda tutti, facendo della sua inquietudine un elemento di riflessione per l’intera comunità. Non so quanto consapevolmente, ha compiuto un gesto politico grazie al quale, forse, sarà possibile tracciare una nuova traiettoria per affrontare tematiche tanto complesse.
Questo è snobismo culturale? Decida chi legge. A me piace ricordare una frase che, nella «Vita di Galilei», Bertolt Brecht fa pronunciare al grande scienziato, uno dei padri della modernità: «Sventurato quel popolo che ha bisogno di eroi».