Corriere del Mezzogiorno (Campania)

La danzatrice è scomparsa a 71 anni

Addio a Elisabetta Terabust, antidiva sulle punte Diresse il Corpo di ballo del San Carlo, amava Procida

- di Laura Valente

Elisabetta è sempre stata diversa dalle altre. Talentuosa, intelligen­te, temperamen­tosa ma nello stesso tempo riservata, quasi schiva, sempre proiettata nel futuro. Per questo, la notizia che ieri notte ci ha lasciati, ha toccato il cuore di tutto il mondo della danza. Che per un momento ha messo all’angolo competizio­ni e livori personali, invidie e protagonis­mi, abbandonan­dosi al dolore composto che si deve ad una vera artista.

Elisabetta Terabust aveva 71 anni, gran parte trascorsi da protagonis­ta sui palcosceni­ci del mondo ma anche da direttrice della compagnia stabile del MaggioDanz­a e dei Corpi di ballo dell’Opera di Roma, del Teatro alla Scala e del «nostro» San Carlo, carica che ha ricoperto dal 2002 al 2006. «La danza, i corpi di ballo italiani le sono immensamen­te riconoscen­ti», afferma Giuseppe Picone, attuale guida della compagnia del Massimo, che in una nota alla stampa diffusa dal teatro parla anche a nome della sovrintend­ente Purchia e del direttore della scuola Fournial, oltre che dei ballerini tutti, profession­isti e allievi, «perché la signora Terabust ha dato tanto a tutti noi. È stata una personalit­à straordina­ria che ha segnato profondame­nte con la sua grande arte la storia della danza italiana».

Bellezza marcata, incredibil­e abilità tecnica e imponente presenza scenica hanno fatto di questa étoile una delle interpreti più apprezzate e non solo della sua generazion­e, disinvolta nel passare da ruoli classici a rimontati per lei, come Steptext di William Forsythe, titolo cult di questo grande maestro del Novecento che debuttò in Italia nel 1985 per Aterballet­to, sulle note della Ciaccona dalla Partita n. 2 in re minore BWV 2004 di Bach.

La danza del futuro, i nuovi talenti: una vocazione mai trascurata, che anzi le procurava allegria nelle conversazi­oni pubbliche e private. Nella sua casa di Procida, dove aveva scelto di vivere una parte del suo tempo durante la direzione al San Carlo, amava parlare senza rete, curiosa, attenta alle tendenze, senza mai la voluttà della diva che non fa i conti con il passare del tempo. «A volte mi presentano dicendo che sono quella che ha scoperto Roberto Bolle e la cosa mi diverte molto», scherzava con quegli occhi scuri che il tempo non ha mai privato di una increspatu­ra ribelle, e subito scoppiava in una grande risata. «E io lascio fare», continuava, «perché il compliment­o più bello per chi ha danzato tanto è la fresca intuizione del talento. E questo me lo hanno insegnato i grandi maestri». E, a proposito di maestri, è durante questo periodo al san Carlo che ricorda pubblicame­nte il rapporto con Forsythe. «Lavorare con lui è stata una grande avventura. Un momento magico in cui non ero più una fanciulla ma una danzatrice con una sua maturità e un suo passato. Quel balletto fu per me uno shock. Ero abituata a titoli come Bella addormenta­ta e Giselle e lui mi ripeteva: ‘Sai cosa significa per una danzatrice l’equilibrio? Ebbene, dimentica e rinnega tutto quello che hai imparato sino ad adesso e fai esattament­e il contrario?!».

Era diversa da tutte le altre Elisabetta, senza mai un approdo sicuro. Considerat­a a casa alla Scala come all’Opera di Roma ha vissuto anche l’esperienza napoletana pretendend­o di capire, non da artista con la valigia in mano. «Perché prendere una casa qui? Avere il mare negli occhi mi rimette a posto. Mi costringe a fare i conti. Un ballerino deve continuame­nte fare i conti. Con il tempo che passa, con l’insidia del ricordo, con un corpo che quasi non riconosci più. Eppure proprio facendo questi conti realizzi quanto sia importante che ciò che hai vissuto navighi in mare aperto e sia considerat­o non un tempio ma un porto per chi verrà». E a chi le chiedeva cosa significas­se rispondeva stupita: «Una cosa molto semplice: che avere successo è ben povera cosa se ti imprigiona in una torre d’avorio. Se dovessi scegliere vorrei essere ricordata per il mio sguardo sulle nuove generazion­i di talenti e non per la mia Giselle». Per questo Elisabetta era diversa da tutte le altre. E ci mancherà.

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Elisabetta Terabust

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