Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Sotto sequestro
Ma non è così; o meglio, saranno dissequestrati alla sentenza definitiva, ossia tra qualche altro anno.
Di buono in questa storia, quindi, pare proprio non ci sia niente. E non tanto, o non solo, perché i suoli sarebbero ancora da bonificare con l’aggravio di tempi e costi che ne deriva rispetto allo sviluppo dell’area. I tempi e i costi dello sviluppo urbano di Bagnoli sono, ormai da tempo, una variabile impazzita alla quale non so più se qualcuno faccia an cora caso. Sul piano politico-amministrativo le cose sono an date male, è inutile negarlo, e il dissequestro dell’area, se e quando arriverà, probabilmente non cambierà granché, visto che Invitalia, nonostante i poteri speciali di una legge speciale, è da tre anni immobile, dopo grandi annunci di rinnovata efficienza amministrativa. D’altra parte, il piano del Governo non è molto diverso da quello di Vezio De Lucia, i cui vizi strutturali, forse più degli errori veri o presunti di chi lo doveva attuare, hanno sin qui impedito il successo dell’operazione. E anche i primi passi del potere centrale non sembrano suggerire grande ottimismo, apparendo quasi paradossali.
Sembrerebbe, infatti, che stiano pubblicando il bando di gara per la caratterizzazione dell’area. Ma, se mezza Napoli è stata condannata perché quei terreni sarebbero inquinati e questi stanno ancora selezionando l’impresa che dovrà fare le verifiche sulla qualità degli stessi terreni, direi proprio che c’è qualcosa che non torna.
Comunque, al di là degli errori passati, di quelli presenti e, temo, di quelli futuri, il dato peggiore che emerge da questa storia mi sembra la conferma del perdurare della crisi di classe dirigente della città, magistratura compresa. Provo a spiegarmi. Ai vertici della società di trasformazione, così come ai funzionari comunali e ministeriali, non è stato contestato di aver intascato denaro né, a quanto pare, di essere d’accordo per non eseguire la bonifica, o per eseguirla in difformità rispetto a quanto appaltato all’impresa. O forse, vista la condanna per disastro colposo (in volontario per chi non è laureato in legge) si ritiene che fosse sbagliato il progetto. Comunque non è chiaro come mai non siano coinvolti nel processo né il direttore dei lavori né i collaudatori, né l’impresa; così come non si capisce perché se il Ministero dell’Ambiente dice che l’area è bonificata e i consulenti della Procura della Repubblica dicono che non lo è hanno ragione questi ultimi.
Sembra, onestamente, tutto molto confuso; forse troppo per una condanna penale.
Capiremo di più, si spera, quando leggeremo le motivazioni della sentenza. Per ora c’è solo da rilevare che, e non è la prima volta, si è trasferito nel processo penale il giudizio sugli errori amministrativi di un gruppo dirigente, che, invece, avrebbe dovuto rimanere sul piano politico.
È evidente che al centrosinistra di governo a Napoli può essere imputata la responsabilità politico-amministrativa del mancato sviluppo di Bagnoli. Su questo non ci sono dubbi.
Come non ci sono dubbi sul fatto che de Magistris abbia aggravato i problemi facendo fallire, scientemente, la società di trasformazione urbana.
Ma il fatto che tutto questo diventi penalmente rilevante lascia perplessi, non tanto per un impianto accusatorio che continua ad apparire molto debole, nonostante il suo parziale successo, ma perché si manda alla sbarra, senza esitazioni, anche quel poco di classe dirigente che abbiamo.
Cito solo l’esempio più evidente che è Tino Santangelo, del quale mi onoro di essere amico, per cui mi assumo la responsabilità di essere considerato di parte.
Uno dei migliori notai italiani, certamente tra i primi professionisti a Napoli, stimato da tutti e da tutti considerato un galantuomo, che, all’apice del successo, decide di dedicarsi alla cosa pubblica, perdendo tempo, denaro e, alla fine, anche la reputazione. Condannato perché, se ho letto bene il dispositivo della sentenza, ha mandato avanti i progetti. Cioè, correggetemi se sbaglio, se fosse stato fermo sulla sua poltrona di presidente della società non gli avrebbero contestato nulla, mentre paga il prezzo di aver provato a mandare avanti un progetto, giusto o sbagliato che fosse.
Se il meglio della nostra società civile che decide di dedicarsi alla cosa pubblica, anziché essere giudicato, come avviene in altre città più sane, Milano in testa, per i suoi meriti o demeriti politici, viene messo alla sbarra in un tribunale penale, viene da chiedersi chi sarà disposto, in futuro, ad assumere un incarico pubblico in questa città. Difficilmente una persona perbene che ha qualcosa da perdere in termini morali e materiali, molto più facilmente qualche avventuriero senza arte né parte.
Forse prima di mettere alla sbarra quel po’ di classe dirigente che abbiamo sarebbe bene contare fino a dieci, se non fino a venti.
Forse prima di mettere alla sbarra quel po’ di classe dirigente che abbiamo sarebbe bene contare fino a dieci, se non fino a venti