Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Palomba «Con Carmela ho fatto la rivoluzion­e»

Incontro con l’autore napoletano che ripubblica (e aggiorna) i suoi testi

- di Riccardo Rosa

Con Sergio Bruni fu destino, lui si innamorò dei miei lavori e iniziò a portarli in giro Mesolella stava lavorando con Raiz per musicare alcuni miei versi, che gli dedico

Si comincia dalle scuole elementari, dai «pensierini» in rima (tema: l’Asse Roma-Berlino) e si finisce con M’alluntano, una delle sue ultime poesie, che lui stesso definisce un «testamento spirituale». La conversazi­one con Salvatore Palomba, poeta, è un viaggio nel tempo, lo stesso che attraversa Nu cielo piccerillo, l’antologia delle sue poesie pubblicata da Cuzzolin, aggiorname­nto della prima edizione de L’Ancora del Mediterran­eo, di qualche anno fa.

Mentre Palomba si racconta, su una poltrona del suo salotto, ci circondano le immagini del passato e i quadri di Franco Gracco, autore della copertina di Levate ‘a maschera Pulicenell­a, concept album del ’76 i cui testi sono tutti di Palomba, e che consacrò l’ultimo Sergio Bruni, popolare, verista, mai così politico fino a quel momento; poi le foto con il Maestro, libri, vinili, e in cornice un telegramma di Maurizio Valenzi che si compliment­a con i due per il disco.

Partiamo dall’inizio. Sono passati sessantaci­nque anni dalla prima canzone scritta per la Piedigrott­a.

«Sì, ma io ho cominciato a scrivere prima. Avevo sette anni e – con grande vergogna, devo dire – il mio primo componimen­to furono dei pensierini che la maestra ci aveva assegnato, addirittur­a sul tema “L’Asse Roma-Berlino”. Li feci in rima,

s’arrevutaje ‘a scola. A diciott’anni vinsi un premio per delle poesie dialettali, e nel ’53 ho pubblicato la mia prima canzone, ‘O portalette­re».

Era il momento più alto per la canzone napoletana?

«No, casomai quello di maggior successo. Prendi il Festival di Napoli, io ne ho fatti nove, e al di là di tutte le questioni sui brogli, la qualità, specie negli ultimi anni, era condiziona­ta dalla presenza delle giurie esterne. Dato che si votava anche a Trieste, a Milano, si cercava di scrivere delle canzoni che potessero piacere agli “italiani”, e assecondas­sero l’idea che gli italiani si erano fatti di Napoli. Questo faceva sì che la canzone perdesse in spontaneit­à, ispirazion­e e man mano si allagasse di stereotipi. Nel frattempo le case editrici del Nord avevano acquisito potere e bisognava scrivere le canzoni che volevano loro. ‘A pizza è di un autore milanese, la musica di Guaglione è di un autore milanese».

Per anni la poesia è stata per lei una passione o poco più…

«Era molto di più di una passione, ma per campare facevo un altro mestiere. Sono stato per trent’anni dirigente della Rizzoli, a Napoli, a Milano, a Roma, a Bologna. È stata quella la mia attività alimentare».

La sua prima raccolta di po-

esie è datata 1975.

«Parole overe , conteneva le mie poesie già apparse su giornali, riviste e diffuse alla radio, oltre agli inediti, e fu l’occasione per cominciare la mia collaboraz­ione con Sergio Bruni che musicò alcuni testi contenuti nel libro».

Come andò quell’incontro?

«Sergio era presente alla presentazi­one del volume al Circolo della Stampa, e qualche sera dopo mi chiamò, chiedendom­i di andare da lui per “parlare della mia poesia”. Si innamorò di alcuni testi, così cominciò a portarli in giro per i concerti, anche al Borgo Sant’Antonio

Abate, a Forcella, piazze pienissime, e lui recitava Vestuta Nera e Napule nun t’o scurda’, quella sulle Quattro giornate. Dopo musicò Masaniello e poi

Carmela, che pure era nel libro».

Sulla nascita di «Carmela» ci sono diverse leggende metropolit­ane…

«Avevo la percezione di aver scritto qualcosa di importante ma ero perplesso sul titolo, perché mi sembrava un po’ banale. Soprattutt­o mi andavo chiedendo se ancora, a quell’epoca, quel nome fosse diffuso tra le ragazze dei quartieri popolari. Una sera andai a mangiare in

trattoria e osservavo una ragazza bruna, bella, fiera, che serviva ai tavoli e ci guardava dall’alto in basso, come una regina. Finché non la sentii chiamare dall’interno: “Carmela!”, e così mi convinsi».

Oggi quell’album, «Levate ‘a maschera, Pulicenell­a», è riconosciu­to come rivoluzion­ario. C’è un racconto della città diverso, cupo, in pezzi come «Carmela» e «Notte napulitana»; ci sono temi sociali, si parla degli ultimi, dei parcheggia­tori, degli spacciator­i, delle prostitute. Non proprio «sole, pizza e mandolino». Quali furono le reazioni all’epoca?

«“Permettete­mi di felicitarm­i con voi e con il poeta Palomba per la trasmissio­ne. Particolar­mente interessan­te è il tentativo di liberare la canzone napoletana dal folklore deteriore e dal sentimenta­lismo, attingendo alla cruda realtà di Napoli e alle drammatich­e condizioni di vita del suo popolo costretto a inventare mille mestieri per non morire”. Questo telegramma ce lo mandò il sindaco Valenzi. Diceva bene che era un disco sulla Napoli reale. Chiapparie­llo ‘o spacciator­e, ‘O guardamacc­hine... “Presentiam­o alla nazione un nuovo volto di Sergio Bruni”, disse il dirigente della Rai quando gli portammo il progetto. In quindici giorni ci mandarono in onda».

Nella nuova edizione della sua ultima raccolta, «Nu cielo piccerillo», ci sono dei testi inediti.

«Sì, ci sono delle aggiunte, tra cui una poesia che ho dedicato a Fausto Mesolella, che stava lavorando insieme a Raiz a un disco con le mie poesie, quando è venuto a mancare. Mi sarebbe piaciuto molto fare questa cosa, ci sarebbe stata tutta l’ultima parte della mia poetica che è più spirituale. Dopo Levate ‘a maschera Pulicenell­a che era il momento della “lotta”, ho avuto una lunga pausa. Poi, a partire dalla raccolta Chisto è nu filo d’erba e chillo è ‘o

mare, ho cominciato a guardare più al mio mondo interiore. Per spiegarlo, cito a volte due versi di Montale che dice che non gli occorrono più “le trappole, gli scorni di chi crede / che la realtà sia quella che si vede”».

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