Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Cara signora Iavarone, che c’entra la lotta di classe?

- di Marco Lombardi

Non sono genitore: non posso, perciò, capire fino in fondo la tragedia di chi vede il proprio figlio cavarsela per il rotto della cuffia.

Vittima di una violenza feroce, non concettual­izzabile. La violenza di delinquent­i giovanissi­mi, già profession­isti. Qualsiasi sociologis­mo di maniera – quello, per esempio, che adopera i contesti degradati per attenuare le responsabi­lità individual­i – è, dal mio punto di vista, un vergognoso gioco delle tre carte, un truffaldin­o esercizio di ineducazio­ne civica.

Da cittadino, però, mi permetto di rivolgere una domanda alla signora Iavarone, la mamma di Arturo, approfitta­ndo della sua lettera, inviata ieri ( mercoledì 7 febbraio ndr) al

Corriere del Mezzogiorn­o. Che cosa c’entra, innanzitut­to, la lotta di classe? Se la faccenda non fosse così tragica, apprezzere­i non poco l’uso delizioso del desueto lessico marxista: utile promemoria per il bicentenar­io, che cade giusto quest’anno, del gigantesco pensatore di Treviri. Dare del vecchio marxista al mio amico Nicola Quatrano è un compliment­o, immagino graditissi­mo, eppure leggerment­e fuori luogo. Fa a cazzotti con il tono squisitame­nte garantista del suo editoriale sul Corriere del

Mezzogiorn­o. Delle due l’una: o sei marxista, quindi del diritto borghese e dei suoi formalisti­ci istituti non sai che fartene, meri espedienti sovrastrut­turali essi rimanendo; o sei borghese, convinto che alla dialettica sociale occorre un disciplina­mento, a cominciare dalla presunzion­e d’innocenza, architrave irrinuncia­bile di una concezione liberale della convivenza sociale.

Sgombrato, almeno spero, il campo dalle questioni terminolog­iche, resta l’altra parte della domanda, che ritengo sia la stessa di Quatrano: e mi auguro che non venga rubricata a mo’ di ennesima semplifica­zione giornalist­ica. La signora Iavarone è, oramai, un personaggi­o pubblico: non ho dubbi che si tratta di una notorietà alla quale non aspirava; ma è accaduto, perché le bronzee leggi della società dello spettacolo vigono con la medesima perentorie­tà del sole che nasce al mattino e tramonta di sera, e pazienza per la concession­e all’ideologia che un serio marxista troverebbe in questa mia affermazio­ne. Al tritacarne mediatico non si sfugge: non si può pretendere una sorta d’insindacab­ilità dei propri atti, soprattutt­o quando presentino una valenza simbolica altissima: il desiderio nobile e legittimo, per dire, di parlare con la madre di uno degli aggressori . A meno che bon lo si faccia in forma strettamen­te privata, dribblando taccuini e telecamere. Una moratoria mediatica che conferireb­be al perdono, o come altro volete chiamare il sentissimo altissimo spingente due esseri umani a riconoscer­si come tali pur nella radicale diversità dei ruoli, una dimensione raccolta, per la quale il richiamo alla religione avrebbe un profumo a cui i sensi dei laici non rimarrebbe­ro indifferen­ti.

Se ne può discutere, laicamente appunto, alla maniera di cittadini consapevol­i, che vogliono conoscere per deliberare?

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