Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Cara signora Iavarone, che c’entra la lotta di classe?
Non sono genitore: non posso, perciò, capire fino in fondo la tragedia di chi vede il proprio figlio cavarsela per il rotto della cuffia.
Vittima di una violenza feroce, non concettualizzabile. La violenza di delinquenti giovanissimi, già professionisti. Qualsiasi sociologismo di maniera – quello, per esempio, che adopera i contesti degradati per attenuare le responsabilità individuali – è, dal mio punto di vista, un vergognoso gioco delle tre carte, un truffaldino esercizio di ineducazione civica.
Da cittadino, però, mi permetto di rivolgere una domanda alla signora Iavarone, la mamma di Arturo, approfittando della sua lettera, inviata ieri ( mercoledì 7 febbraio ndr) al
Corriere del Mezzogiorno. Che cosa c’entra, innanzitutto, la lotta di classe? Se la faccenda non fosse così tragica, apprezzerei non poco l’uso delizioso del desueto lessico marxista: utile promemoria per il bicentenario, che cade giusto quest’anno, del gigantesco pensatore di Treviri. Dare del vecchio marxista al mio amico Nicola Quatrano è un complimento, immagino graditissimo, eppure leggermente fuori luogo. Fa a cazzotti con il tono squisitamente garantista del suo editoriale sul Corriere del
Mezzogiorno. Delle due l’una: o sei marxista, quindi del diritto borghese e dei suoi formalistici istituti non sai che fartene, meri espedienti sovrastrutturali essi rimanendo; o sei borghese, convinto che alla dialettica sociale occorre un disciplinamento, a cominciare dalla presunzione d’innocenza, architrave irrinunciabile di una concezione liberale della convivenza sociale.
Sgombrato, almeno spero, il campo dalle questioni terminologiche, resta l’altra parte della domanda, che ritengo sia la stessa di Quatrano: e mi auguro che non venga rubricata a mo’ di ennesima semplificazione giornalistica. La signora Iavarone è, oramai, un personaggio pubblico: non ho dubbi che si tratta di una notorietà alla quale non aspirava; ma è accaduto, perché le bronzee leggi della società dello spettacolo vigono con la medesima perentorietà del sole che nasce al mattino e tramonta di sera, e pazienza per la concessione all’ideologia che un serio marxista troverebbe in questa mia affermazione. Al tritacarne mediatico non si sfugge: non si può pretendere una sorta d’insindacabilità dei propri atti, soprattutto quando presentino una valenza simbolica altissima: il desiderio nobile e legittimo, per dire, di parlare con la madre di uno degli aggressori . A meno che bon lo si faccia in forma strettamente privata, dribblando taccuini e telecamere. Una moratoria mediatica che conferirebbe al perdono, o come altro volete chiamare il sentissimo altissimo spingente due esseri umani a riconoscersi come tali pur nella radicale diversità dei ruoli, una dimensione raccolta, per la quale il richiamo alla religione avrebbe un profumo a cui i sensi dei laici non rimarrebbero indifferenti.
Se ne può discutere, laicamente appunto, alla maniera di cittadini consapevoli, che vogliono conoscere per deliberare?