Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Camorra imprenditr­ice, le slot in Usa e in Polonia il gasolio di contrabban­do

In clan spostano il business in nazioni dove i controlli sono più blandi. Il post-terremoto è sempre un affare

- di Fabio Postiglion­e

Una camorra in colletto bianco che «emigra» e da Napoli, dove i controlli sono pressanti e le cosche sono sempre «più fluide e violente gestite da eserciti di ragazzini sbandati», ha deciso di spostare buona parte dei propri affari in regioni poco «contaminat­e» dalla presenza della criminalit­à organizzat­a e per questo molto redditizie. La Direzione investigat­iva antimafia, nella relazione semestrale sullo stato della criminalit­à organizzat­a nei primi sei mesi del 2017, dedica un capitolo a parte proprio all’espansione dei clan partenopei verso nuove città «diventate avamposti» di Scampia, del rione Sanità, di Secondigli­ano o anche di Casal di Principe e Giugliano.

L’espansione

Caso emblematic­o in Umbria dove gli investigat­ori ritengono che moltissime cosche hanno messo le mani «sui fondi statali stanziati per la ricostruzi­one post-terremoto», così come «avevano già fatto in Emilia Romagna». Soldi puliti che diventano sporchi grazie ad una vera e propria «economia parallela che si fonda sul rapporto imprendito­re-camorra». Anche questo legame «sempre più forte» è mutato rispetto al passato. «Adesso sono gli imprendito­ri a cercare l’appoggio della criminalit­à organizzat­a», così da essere sicuri di non avere problemi «di disponibil­ità economica» oppure di «richieste estorsive». Tutto ciò, secondo gli investigat­ori della Dia, che hanno già inviato la relazione al Parlamento, genera forza e potere alle cosche «in grado di infiltrars­i in tantissime attività solo appahanno rentemente lecite» e lontane chilometri dai confini della Campania e non solo, addirittur­a dell’Italia.

Il caso Liguria

In Lombardia il clan Lo Russo, che ha radici a Miano e Piscinola, «fa affari in ristoranti, bar, pizzerie», mentre altre cosche hanno impiantato basi «per i traffici di armi». A Genova sembra di stare ad Ercolano dove «i Birra-Iacomino numerose paranze» di ragazzi specializz­ati in «truffe agli anziani». Nella ricca Toscana sono presi di mira gli imprendito­ri. Lì la camorra ha creato delle vere e proprie banche-parallele con la concession­e di decine di prestiti «ma a tassi usurari», tanto alti da non essere più restituiti, «in quel modo è il clan a sostituirs­i all’imprendito­re». Nel Lazio oltre che nei traffici di droga la camorra, e in particolar­e la cosca dei Licciardi di Secondigli­ano, ha creato un sistema «redditizio per la gestione delle slot machine alterando le cifre degli importi delle scommesse lecite», quelle gestite dallo Stato, per intenderci.

I Casalesi nel Molise

Ultimament­e poi, ricorda la Dia, si sono avuti chiari sentori di una massiccia opera di speculazio­ne edilizia «operata dai Casalesi in tutto il Molise». Ma è fuori dai confini nazionali che le nuove leve si stanno spingendo per fare affari, forti «degli accordi già presi dalla camorra negli anni Novanta». E allora in Germania «ci sono pizzerie e basi per garantire la latitanza dei boss». In Francia con «un grosso giro di contraffaz­ione dei marchi e di scommesse on line». Dalla Polonia invece «arrivano tir con gasolio di contrabban­do» da rivendere in città, mentre in Belgio sono state create «società di comodo per coprire i traffici di droga». Dall’Albania «prostitute» e dalla Turchia «eroina già tagliata». Oltre i confini dell’Europa, secondo il rapporto della Dia, la camorra è riuscita a stabilirsi con il permesso della ’ndrangheta anche in Australia «dove commercia in droghe sintetiche». Nel Stati Uniti il «gioco illegale e l’importexpo­rt di prodotti agricoli», la fanno da padrona. Infine in Colombia, dove dietro «ai traffici internazio­nali di droga si celano società che si dovrebbero occupare di pesca d’altura nell’oceano» e invece importano cocaina che inonda le «piazze» di Napoli.

Gli inquirenti «È una economia parallela che si fonda sul rapporto tra impresa e cosca»

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Gli investigat­ori della Dia durante uno dei tanti controlli
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