Corriere del Mezzogiorno (Campania)
IL MERIDIONE RISCHIA DI «SPARIRE»
Ieri: la Campania cresce più di ogni altra regione; è il traino della ripresa italiana anche al di là del Mezzogiorno; nel Mezzogiorno solo la Puglia segue, a distanza, la Campania; decisivo è soprattutto il suo contributo alle nostre esportazioni. Oggi: la Campania è tra le regioni italiane, come tutte quelle del Mezzogiorno, dalle quali si emigra di più, anche se (in termini percentuali) non come in altre regioni meridionali. Parliamo, naturalmente, di emigrazione verso il resto dell’Italia; certo, non si parla di emigrazione verso l’Africa o verso il Sud-Est asiatico; e, come diceva Voltaire tre secoli fa, se volete sapere come si vive in una certa parte del mondo, guardate ai suoi confini: se quelli che entrano sono più di quelli che escono, vi si vive bene, ma se accade il contrario, certamente vi si vive peggio che altrove. Questo, dunque, vale anche per la Campania e per il Mezzogiorno di oggi rispetto, appunto, al resto d’Italia (anzi, per la verità, rispetto ad alcune altre regioni italiane, perché il male meridionale si è nel frattempo esteso anche altrove). Un bel salto di qualità, tra le due notizie! E, come ben si capisce, non si tratta di notizie estemporanee, cioè fiorite all’improvviso, e inattese, tra le novità del giorno. Sono notizie che si riferiscono a situazioni che maturano con un lungo travaglio nel corso del tempo. Se ne può seguire in continuità la genesi e lo sviluppo se si segue con attenzione il corso quotidiano delle cose nei paesi di cui si tratta.
Se poi qualcuno credesse che la notizia di una maggiore emigrazione campana sia una buona notizia, si disilluda subito. È vero che, se la situazione economica migliora e la gente diminuisce, il livello medio delle condizioni di vita migliora anch’esso. Ma questo non è il caso della Campania, innanzitutto perché il miglioramento di cui si parla non è di misura tale da fare alzare la media delle condizioni di vita, e poi perché, se l’emigrazione riduce il peso demografico della regione nel contesto italiano, questa riduzione non riguarda solo la demografia. Riguarda anche l’importanza della regione come mercato di consumo, come aggregazione attrattiva di investimenti, come corpo elettorale e quindi importanza politica, e così via, per la Campania, come – beninteso – per le altre regioni del Mezzogiorno. E riguarda anche, ovviamente, l’immigrazione che qui continua ad arrivare da paesi infelici di altre parti del mondo e verso la quale le idee (qui e altrove) continuano a essere tutt’altro che chiare, e si esauriscono nella deprecazione e nel rifiuto.
Prima di parlare di buone o cattive notizie, bisognerebbe, quindi, riflettere un attimo. Ma tant’è! Buone o cattive che siano le notizie che lo riguardano, è il Mezzogiorno stesso che ormai fa sempre meno notizia in Italia. Nei programmi delle forze politiche o se ne parla appena appena o, più spesso, non se ne parla per nulla. Si ha un bel parlarne in quei pochi giornali e da parte di quei pochi commentatori o studiosi che lo fanno: l’eco ne rimane sempre molto modesta, molto minore di quanto indurrebbe a credere l’evidente importanza del problema. E si badi bene: qui nessuno parla più di «politica speciale» o di «intervento straordinario». Qui si parla sempre e solo del luogo del Mezzogiorno nella politica italiana, e si vorrebbe saperne qualcosa dai programmi e dai discorsi elettorali dei partecipanti alla gara elettorale del 4 marzo. E, significativamente, a parlarne di meno sono quelli che si sentono più presuntuosamente già vincitori.
Continuerà – non ci facciamo illusioni – così. E non evocate, vi raccomandiamo, il «meridionalismo», oppure il problema delle «due Italie» e della loro «coesione», oppure la «questione meridionale», anche se, magari, nei suoi nuovi termini. Sono ormai tutte «cattive parole», cioè parole indecenti non degne della buona società e delle sue buone maniere.