Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Scuole di periferia Troppi professori impiegati a orario
Tra le tante riflessioni seguite al caso della collega aggredita dallo studente che si apprestava ad interrogare, la più condivisibile è proprio quella pronunciata dalla stessa vittima. La professoressa, infatti, si è interrogata su dove fosse stato commesso l’errore di tipo educativo che ha provocato la violenta reazione del ragazzo.
La collega, inoltre, ha anche affermato che lei fa un lavoro che le piace. È interessante approfondire la questione.
La prima considerazione è che non tutti i colleghi «fanno un lavoro che gli piace» e, giustamente, Nicola Quatrano li ha definiti «impiegati a orario fisso della scuola». La seconda riguarda il nostro sistema educativo, gravato da impegni e preoccupazioni che non sono funzionali allo sviluppo di valori ed ideali propri dell’età adolescenziale.
«Ciascuno cresce solo se sognato» affermava Danilo Dolci ma, nella scuola come è strutturata oggi, non c’è più il tempo di sognare né di sollecitare la propensione al sogno. Una scuola immersa nella realtà, che non si riconosce alcuna funzione trainante nei confronti della società contemporanea ma la rincorre, cercando di impossessarsi dei suoi tempi, luoghi e linguaggi ha perso ogni funzione formativa.
Inoltre, gli operatori di questa scuola o non si riconoscono più in un luogo di cui percepiscono limiti e contraddizioni o si adattano o, non avendo né competenze né passione, svolgono la funzione di impiegati a orario fisso nella sicurezza che mai saranno sottoposti ad una seria valutazione didattica, pedagogica e culturale.
Questa situazione, già gravissima, diventa esplosiva in quei contesti nei quali il disagio è maggiore e la presenza di un valido modello familiare è minore: è il caso degli istituti professionali, dove il tasso di dispersione scolastica è altissimo. Le classi prime, frequentate spesso da ragazzi che aspettano solo di assolvere l’obbligo scolastico, sono troppo numerose ed i docenti che dovrebbero farli innamorare della conoscenza e trattenerli dietro i banchi sono, spesso, impiegati a orario fisso.
Il paradosso è che, proprio nei confronti dell’istruzione professionale si spendono soldi in progetti. Personalmente ritengo che l’ingresso dei progetti nella scuola abbia rappresentato l’inizio della fine, laddove sia mancata la sorveglianza sulla presenza nell’orario curriculare e sulla validità didattica dei docenti coinvolti.
Anche Massimo Gramellini riconosce che: «Negli abissi della scuola italiana nuotano tante sante prof» ma, affinché dagli abissi si risalga, è necessaria la formazione all’uso di strumenti didattici nuovi. Formazione all’ascolto, all’inclusione, all’apprendimento significativo per formare l’esercito di educatori che possa incidere positivamente sugli adolescenti, parlando un linguaggio condiviso perché, come diceva don Milani: «Dicesi Maestro chi non ha nessun interesse culturale quando è solo».