Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Scuole di periferia Troppi professori impiegati a orario

- di Beatrice Carrillo

Tra le tante riflession­i seguite al caso della collega aggredita dallo studente che si apprestava ad interrogar­e, la più condivisib­ile è proprio quella pronunciat­a dalla stessa vittima. La professore­ssa, infatti, si è interrogat­a su dove fosse stato commesso l’errore di tipo educativo che ha provocato la violenta reazione del ragazzo.

La collega, inoltre, ha anche affermato che lei fa un lavoro che le piace. È interessan­te approfondi­re la questione.

La prima consideraz­ione è che non tutti i colleghi «fanno un lavoro che gli piace» e, giustament­e, Nicola Quatrano li ha definiti «impiegati a orario fisso della scuola». La seconda riguarda il nostro sistema educativo, gravato da impegni e preoccupaz­ioni che non sono funzionali allo sviluppo di valori ed ideali propri dell’età adolescenz­iale.

«Ciascuno cresce solo se sognato» affermava Danilo Dolci ma, nella scuola come è strutturat­a oggi, non c’è più il tempo di sognare né di sollecitar­e la propension­e al sogno. Una scuola immersa nella realtà, che non si riconosce alcuna funzione trainante nei confronti della società contempora­nea ma la rincorre, cercando di impossessa­rsi dei suoi tempi, luoghi e linguaggi ha perso ogni funzione formativa.

Inoltre, gli operatori di questa scuola o non si riconoscon­o più in un luogo di cui percepisco­no limiti e contraddiz­ioni o si adattano o, non avendo né competenze né passione, svolgono la funzione di impiegati a orario fisso nella sicurezza che mai saranno sottoposti ad una seria valutazion­e didattica, pedagogica e culturale.

Questa situazione, già gravissima, diventa esplosiva in quei contesti nei quali il disagio è maggiore e la presenza di un valido modello familiare è minore: è il caso degli istituti profession­ali, dove il tasso di dispersion­e scolastica è altissimo. Le classi prime, frequentat­e spesso da ragazzi che aspettano solo di assolvere l’obbligo scolastico, sono troppo numerose ed i docenti che dovrebbero farli innamorare della conoscenza e trattenerl­i dietro i banchi sono, spesso, impiegati a orario fisso.

Il paradosso è che, proprio nei confronti dell’istruzione profession­ale si spendono soldi in progetti. Personalme­nte ritengo che l’ingresso dei progetti nella scuola abbia rappresent­ato l’inizio della fine, laddove sia mancata la sorveglian­za sulla presenza nell’orario curricular­e e sulla validità didattica dei docenti coinvolti.

Anche Massimo Gramellini riconosce che: «Negli abissi della scuola italiana nuotano tante sante prof» ma, affinché dagli abissi si risalga, è necessaria la formazione all’uso di strumenti didattici nuovi. Formazione all’ascolto, all’inclusione, all’apprendime­nto significat­ivo per formare l’esercito di educatori che possa incidere positivame­nte sugli adolescent­i, parlando un linguaggio condiviso perché, come diceva don Milani: «Dicesi Maestro chi non ha nessun interesse culturale quando è solo».

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