Corriere del Mezzogiorno (Campania)
L’editore Laterza: il suo Mezzogiorno mai «piagnone»
«Non ha eredi, nessuno regge il confronto»
«L’avrei visto stasera:
NAPOLI ci eravamo messi d’accordo per cenare insieme dopo l’incontro con Andrea Giardina organizzato dalla Laterza al Teatro Bellini. Gli avevo chiesto consiglio sul ristorante, ma si era detto poco esperto del quartiere, così avevo scelto io...».
Giuseppe Laterza è sconvolto e commosso per la morte di Giuseppe Galasso, autore legato alla sua casa editrice da un sodalizio antico, nel solco dell’eredità del pensiero crociano. Un elemento identitario, per Laterza, la firma di Galasso, che ha pubblicato per la casa barese numerosissimi volumi, da L’Italia dimezzata. Dibattito sulla questione meridionale del 1980 (scritto con Gerardo Chiaromonte) fino al recentissimo Storia della storiografia italiana, di qualche mese fa. «Il rapporto con lo storico napoletano», osserva l’editore, «era strettissimo e si rifaceva alla tradizione del liberalismo meridionale, ma guardava anche all’innovazione».
In che senso?
«Ho ritrovato un suo scritto uscito nel 1985, in occasione dei cento anni della nostra azienda. Mio padre chiese ad alcuni dei nostri autori di intervenire. Romeo parlò abbastanza criticamente della svolta della casa editrice dopo la morte di Croce, quando si era aperta alle nuove tendenze. Galasso invece commentò lo stesso dato in maniera positiva. Lui si muoveva in un certo senso sempre nel solco della grande tradizione repubblicana e liberale del pensiero napoletano, ma poteva anche essere imprevedibile».
Ricorda qualche episodio in particolare?
«Uno recente. Durante le nostre “Lezioni di storia” dedicate ai romanzi napoletani, lui parlò di Striano e della Pimentel Fonseca. Disse che abitualmente la vicenda dei giacobini viene letta come una totale sconfitta. Invece lui non la riteneva tale. Una delle due parti in lotta, spiegò, aveva guardato al futuro, all’avvento dell’età moderna, al rinnovamento sociale ed economico, alla parità uomo donna. E questa parte comunque
aveva vinto. Galasso credeva nella forza delle idee, anche nei nostri tempi dominati da rapporti di forza e da interes- si. Del resto lo ricorda anche nelle pagine finali della Sto
ria d’Europa».
Quando vi siete conosciuti lei era molto giovane e la casa editrice era guidata da suo padre. Come fu il vostro rapporto?
«Da parte mia direi filiale. Lui era già un uomo di grande caratura sia sul piano culturale sia su quello politico. All’epoca, parliamo degli anni Ottanta, era sottosegretario. Galasso era un intellettuale che non ha mai rinunciato all’autonomia, ma non temeva di confrontarsi con l’azione collettiva. Aveva un grande senso di sé, ma anche ironia e curiosità. Ricordo un suo scambio molto arguto con un altro nostro grande autore, Jacques Le Goff, sulle pagine del Corriere a proposito di un libro dello storico francese. I due non erano d’accordo e si scontrarono con grande franchezza, nonostante fossero grandi amici».
Cosa ha rappresentato Galasso per la sua casa editrice?
«Galasso ha incarnato il volto migliore della meridionalità, senza vittimismo e senza lamenti. Ha saputo guardare alla questione meridionale
dentro il contesto nazionale e all’Italia nel contesto europeo. Durante le celebrazioni per i 150 anni dell’Unità lui tenne una lezione al liceo Umberto di Napoli e polemizzò con alcuni giovani neoborbonici perché rifiutava del tutto la visione vittimista e piagnona del Mezzogiorno sfruttato dal Nord».
Chi sono gli eredi di Galasso
© RIPRODUZIONE RISERVATA nel panorama attuale?
«Difficile trovarne. Tra l’altro questo è stato un anno terribile per la casa editrice, abbiamo già perso autori come De Mauro, Rodotà, Benevolo, Baumann, tutti nati tra gli anni Venti e Trenta. Sarà davvero impossibile trovare eredi paragonabili a loro per ampiezza di interessi, per capacità di abbinare specialismo e azione politica. Ma il problema va posto in un altro modo. Quegli autori erano rappresentanti di visioni del mondo a cui hanno dato forma e che magari sono anche state superate, come quella crociana. I grandi solisti possono essere sostituiti da una comunità di pensiero, da un’intelligenza collettiva su cui bisogna lavorare. Nessun singolo oggi regge il confronto con quei giganti».