Corriere del Mezzogiorno (Campania)
La «tesi» di Sarri e il segreto degli intervalli
Nel saggio scritto come tesi finale del Master per allenatore professionistico di Serie A, dal titolo «La preparazione settimanale della partita» (Coverciano, 2007), il Sarri pone coraggiosamente la questione del metodo di lavoro. La rilevanza teorica di questa scelta sarà compresa, probabilmente, solo in futuro. Intanto è possibile aprire alcuni squarci analitici che rimangono, ad oggi, poco più che congetture.
Perché il metodo? Una risposta plausibile potrebbe risiedere nell’importanza che il Sarri attribuisce alla standardizzazione dei protocolli di lavoro; unica strategia in grado di garantire, entro determinati range di variazione, l’ottenimento di risultati tecnico-tattici standardizzabili.
Tuttavia sarebbe riduttivo limitarsi a registrare il valore strettamente pragmatico della centralità del metodo nella filosofia del Sarri.
Cos’è, del resto, un metodo, se non una modalità di astrarre una logica unificante da un insieme distribuito di pratiche, formalizzarle in un susseguirsi di attività riproducibili, infine codificarle in un linguaggio trasferibile ad altri soggetti, affinché questi possano mettere in pratica quelle procedure con crescente sicurezza, autonomia e consapevolezza?
Appare chiaro, allora, come il metodo, nel pensiero di Sarri, si caratterizzi per una tensione costante verso la gestione diffusa e collettiva delle attività e delle conoscenze. Tensione, questa, che guarda al futuro, a differenza di altre forme di organizzazione societaria maggiormente legate a competenze strettamente individuali, o ad abilità e limiti personali. Il Sarri si preoccupa non solo del proprio lavoro in quanto tale: cerca di creare gli strumenti affinché chi vorrà provare a riutilizzare quelle idee-guida potrà farlo, senza dover ripatire dal punto di partenza.
Ciò si traduce in una responsabilizzazione dell’intero sistema di relazioni umane, sociali e professionali, che ruotano intorno alla singola partita. In tal senso, la gara non esiste come entità a sé stante. Non è che una delle fasi di un ciclo che si ripete senza tornare mai identico: non un cerchio che si richiude, bensì una spirale eternamente aperta: un equilibrio dinamico.
A suffragio di questa congettura, è utile sottolineare che la parte conclusiva del saggio in esame riguarda specificamente la «gestione dell’intervallo». Ivi, il Sarri spiega che «nell’ultimo minuto negli spogliatoi l’obbiettivo dell’allenatore è prevalentemente quello di far tornare la tensione al giusto livello per riprendere la partita» (p. 39).
Purtroppo, al momento, non esistono fonti scritte né orali che possano testimoniare ciò che è accaduto nei sotterranei dello Stadio San Paolo all’intervallo di Napoli – Lazio. Gli esperti, tuttavia, concordano su un’ ipotesi: sono state la parole concilianti, il tono distaccato, la voce flebile e il garbo toscano, tratti tipici del cripto-Sarri mediatico, a trasformare la squadra in quella lussureggiante forma muscolare di intelligenza collettiva che anima il sogno lucido nel quale la città di Napoli continua a svegliarsi.