Corriere del Mezzogiorno (Campania)
La sua ultima «lezione»: all’Università difficile poter fare innovazione
Il ricordo di Mascilli Migliorini all’Emeroteca
L’ultima volta che Giuseppe Galasso ha parlato in pubblico in città è stato il 30 gennaio scorso nella sala conferenze dell’Emeroteca Tucci, in occasione della mostra-convegno su Enrico Mascilli Migliorini. In quel luogo, che il grande storico aveva frequentato a lungo negli anni delle ricerche giovanili, vi mancava dal 12 dicembre 2013, dalla sera, cioè, in cui con un altro Mascilli Migliorini, Luigi, aveva presentato «Leggi razziali e orrore dei lager in un decennio di stampa», volume realizzato dalla Tucci. Del suo ultimo intervento pubblichiamo alcuni stralci.
«Vorrei dire che non c’era luogo migliore per ricordare Enrico Mascilli Migliorini; in questa Emeroteca che è un piccolo gioiello napoletano, e che, come tutti i gioielli napoletani, ha bisogno di interventi fortunosi per sopravvivere. Con la presenza di Salvatore Maffei, mi pare una scelta veramente felice. Voglio aggiungere che ho avuto con Mascilli Migliorini una solida amicizia, non una amicizia di quelle persone che si vedono ogni giorno, neppure di quelle persone che si vedono ogni mese. Non erano molto frequenti i nostri incontri, ma sono stati incontri sinceramente e profondamente partecipati - scusate questo brutto italiano - dall’una e dall’altra parte.
Io ho avuto modo di conoscere anche qualche ambiente di lavoro di Mascilli Migliorini. In Friuli, sul giornale da lui fondato per una decina di anni, io ho collaborato. Un altro ambiente in cui l’ho conosciuto abbastanza bene è stato in Calabria. Mi ha particolarmente interessato che Enrico Mascilli Migliorini andasse a trascorrere l’ultimo dell’anno su un paesino della Sila. Nel 1955/56 andai in Calabria per fare delle ricerche e capitai lì proprio un 31 dicembre a San Giovanni in Fiore dove, con la neve veramente altissima, ho fatto uno dei pranzi più memorabili della mia vita. E capisco perché lui avesse maturato questo pensiero di andare a trascorrere la sera dell’ultimo dell’anno con quei suoi amici, perché non era l’abbondanza del cibo la cosa importante: quei banchetti erano il compenso di una vita sociale assente, era la compensazione del desiderio di stare insieme che non si realizzava in una società disgregata e diffidente come quella.
Se si è partecipato alla fondazione di qualche giornale, se si è stata magna pars di sedi importanti come quelle della Rai, se si è svolto una attività pubblicistica che ha avuto un certo successo, se si è svolta un’attività universitaria che ha lasciato ricordi, vuol dire che qualcosa deve esserci stato nella persona. Anche istituire una facoltà di sociologia, e trenta anni fa non era una impresa facile. Lo dico per esperienza perché io mi glorio di aver fatto istituire a Napoli, come preside di facoltà il corso di Sociologia che avrei voluto chiamare corso di scienze sociali. Non era facile istituire un corso del genere, non perché ci fosse la dittatura crociana che impediva le scienze sociali, la sociologia; ma perché era complessivamente l’esperienza culturale italiana che su una conformizzata tradizione classicista rifiutava l’innovazione (che in questo caso era la sociologia).
Anche oggi la cultura italiana ha le sue idiosincrasie salvo poi a osservare un conformismo deteriore inneggiante i vangeli e i messia stranieri. L’Italia è uno dei Paesi che traduce di più e dal quale si traduce molto molto poco, benché non solo della mia disciplina, quella storica, ma per tutte le discipline ci sia una grande produzione. Ecco, con questo, volevo sottolineare la difficoltà di certe operazioni, anche nel campo universitario, soprattutto nel periodo in cui Mascilli era all’Università di Urbino. A lui rivolgo un postumo grazie perché la sua esperienza ha lasciato un patrimonio e un insegnamento di vita professionale, familiare e sociale che merita una particolare ammirazione e una certa imitazione.
Il corso «Mi glorio di aver fatto istituire a Napoli Sociologia e non fu semplice»