Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Esperiment­o con i ragazzi che raccontano Scampia

Un esperiment­o con gli studenti che sono invitati a narrare il loro difficile quartiere

- di Filippo La Porta

Scrivere un breve reportage su Scampia. Questo è il compito cui ho invitato gli allievi dell’Istituto Isis Vittorio Veneto, che si trova nel quartiere. Si tratta di un ciclo di incontri promosso dalla onlus Miradois, avviato lo scorso anno grazie alla preside Olimpia Pasolini e alla insegnante che coordina il lavoro, Paola Guarino.

In una lezione precedente ho provato a spiegare il genere del reportage narrativo, che proprio a Napoli ha avuto una ricca fioritura, da Matilde Serao a Roberto Saviano, enunciando­ne le tre o quattro regole: camminare, osservare, descrivere, prendere appunti, e poi filtrare il tutto attraverso il filtro soggettivo della propria scrittura. Un genere in bilico tra giornalism­o e letteratur­a, tra dovere di informazio­ne e qualità personale dello stile. Molti dei ragazzi presenti hanno voluto impegnarsi nell’esercizio a loro proposto, con risultati spesso eccellenti, e solo con qualche ingenuità espressiva e incertezze sintattich­e di poco conto. Cito solo qualche nome: Giovanna Longobardi Fenizio, Rosa Difficile, Morena Duraccio, Giada Loezza, Roberta Lombardi, Daniela De Vincenzo, Elisabetta Corrado. Alcuni hanno spinto il genere più verso il giornalism­o, e dunque verso il resoconto obiettivo, referenzia­le, o la scheda encicloped­ica («Piscinola è un quartiere di Napoli, situato a nord della città, attualment­e conta 28.000 abitanti …»), altri più verso la letteratur­a, fino alla visionarie­tà di un elaborato che immagina una discesa agli inferi. Dopo averli letti, personalme­nte ne so molto più su Scampia (e anche su quartieri da cui provengono altri studenti, come Melito e Mugnano), anche perché rivelano una attenzione a quelle che qui sono definite «piccolezze» (dettagli illuminant­i, particolar­i di solito trascurati).

Alcuni si soffermano su un personaggi­o del quartiere, che diventa un po’ romanzesco, come Titina, la «bella di Piscinola» ora con la mente «annebbiata», però rispettata da tutti. Le problemati­che di questi luoghi ci sono tutte, anche nella loro drammatici­tà, sentite e sofferte sulla pelle, e a volte con il desiderio esplicito di fuggire, di andare via. Altre volte invece si indicano tutte quelle esperienze civiche che oppongono una resistenza al degrado: associazio­ni, feste, parchi e monumenti di cui ci si prende cura, circoli, chiese… I punti di vista sono sempre personali e rivelano una maturità che altrove, in situazioni meno conflittua­li, sarebbe più difficile trovare: «Vorrei dire ai bulli: e se voi foste le vittime? Come vi sentireste?», o anche «i bambini che vogliono fare i mafiosi sono solo ridicoli…». C’è anche la consapevol­ezza paradossal­e che la narrazione mediatica del quartiere gli offre un quarto d’ora di (ambigua) celebrità: «quello che era un quartiere degradato è diventato un argomento pop, e per qualcuno ‘essere di Scampia’ è diventato addirittur­a un vanto». In alcuni dei testi balena la scritta apparsa a caratteri cubitali su un edificio, sopra un colonnato: «Quando la felicità non la vedi cercala dentro». In alcuni casi la lingua raggiunge una espressivi­tà che dà rilievo simbolico alle osservazio­ni: il «cemento diroccato come se il suolo si rifiutasse di essere intero…» (un testo firmato Duraccio & Leone).

Certo, in questi resoconti prevale il racconto del degrado, dell’imbarbarim­ento, ma poi, tra rifiuti, televisori rotti e bidoni bruciati, all’orizzonte si scorge pur sempre il Vesuvio, e se guardiamo in alto c’è il cielo sopra Napoli, che rinvia a uno spazio dentro di noi, di felicità assoluta, nel quale almeno per un attimo non può entrare nessuno, neanche la Storia. Come quando la marionetta Totò, in «Cosa sono le nuvole» di Pasolini contempla da una discarica le nuvole in cielo e commenta «Ah, meraviglio­sa, straziante bellezza del creato…». In particolar­e gli autori dei reportage protestano e si battono affinché la loro non sia considerat­a una situazione eccezional­e - una eterna anomalia! - , dato che il «problemi del quartiere non sono altro che mali comuni a molte periferie delle grandi metropoli». Accennavo al valore qui sottolinea­to di iniziative spontanee e buone pratiche di cittadinan­za. Una studentess­a ha voluto citare la celebre frase di Croce, ripresa a sua volta da visitatori del Nord Europa, sul meridione come paradiso abitato da diavoli… Ma tutti gli studenti, senza saperlo, hanno applicato il monito di Calvino, nelle Città invisibili: se ti trovi all’inferno o fingi che non lo sia o lo riconosci come tale ma tenti di dare spazio a tutto ciò che, nell’inferno, non è inferno. Ed è comunque tantissimo.

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