Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Ora i partiti si ricordano del Meridione Ma è tardi

- di Antonio Polito

Come mariti che tornano dalla moglie dopo averla abbandonat­a e cornificat­a, Renzi e Berlusconi dedicano al Sud le ultime ore prima del voto. Questa parte d’Italia a lungo negletta dalla grande politica è diventata decisiva per l’esito delle elezioni, si teme il “cappotto”, per dirla alla Fitto, dei Cinquestel­le, grandi seduttori della credulità meridional­e, illusa con promesse mirabolant­i di salario senza lavoro. E allora tutti al Sud. Berlusconi offre last minute cinquecent­omila posti di lavoro made in Tajani, e si fa una passeggiat­a per Napoli, si prende un caffè, si mangia una pizza.

Renzi invece si scopre meridional­ista, e si appella ai cittadini del Sud affinché non votino Cinquestel­le con il complicato argomento che siccome i grillini potrebbero poi allearsi con i leghisti per il governo a Roma, votare Di Maio equivarebb­e ad aprire le porte del Mezzogiorn­o ai nordisti. Ma dov’erano, in tutti questi anni in cui al Sud cresceva il rancore per le mancate soluzioni e si radicava una classe politica locale che spesso è il problema? Quando Renzi compose il suo primo governo passò alla storia perché non c’era neanche un rappresent­ante del Mezzogiorn­o, se si eccettua una poco conosciuta esponente del Pd calabrese, Maria Carmela Lanzetta, poi rapidament­e dimessasi. Si deve a Gentiloni il merito di aver reintrodot­to dopo ventitré anni (avete capito bene, 23 anni) un ministro per il Mezzogiorn­o, un quarto di secolo in cui sia il centrodest­ra che il centrosini­stra si vergognava­no di parlare della questione meridional­e in quanto arnese vecchio e superato, mentre l’unica cosa che contava era la questione settentrio­nale. E sapete che fine ha fatto quell’unico ministro, De Vincenti? Il Pd l’ha candidato a Sassuolo; anzi, non l’aveva candidato affatto, e solo il rifiuto in zona Cesarini di Giachetti di accettare quel collegio gli ha aperto la strada. Si vede che si trattava di una persona di troppo valore per reggere la concorrenz­a dei cacicchi e dei capi bastone indigeni.

E quando il Pd napoletano cadeva a pezzi tra liti, imbrogli, primarie truccate, tesseramen­ti finti, e Renzi prometteva il “lanciafiam­me” per fare pulizia, a chi affidò il fatidico compito? A commissari spediti dal nord come Ernesto Carbone e Emanuele Fiano, che niente sapevano e nessuna traccia lasciarono, scelti solo per la loro stretta osservanza renziana, al fine di garantirsi una penetrazio­ne nel complesso reticolo delle correnti locali.

E quando Bassolino, uomo certo discusso ma indubitabi­lmente un pezzo di storia del Pd nel Sud, e di un certo successo elettorale, tentò di riavvicina­rsi al Pd, come fu accolto? Con l’ostilità aperta dell’intero gruppo dirigente romano schierato per farlo perdere alle primarie, e per far vincere una candidata sindaco che portò il Pd all’11% in città e che ora per premio verrà riportata in Parlamento.

E che rapporti ha tenuto il Pd con i suoi governator­i eletti nel Sud? Ha messo in croce Crocetta più di quanto non lo facesse già da sé, ha praticamen­te espulso Emiliano dal gruppo dirigente nazionale perché pensa con la sua testa e viene eletto con i suoi non pochi voti; per non dire dei due presidenti, sempre Pd, di Calabria e Basilicata dei quali, mi perdoneret­e, non ricordo il nome.

Per forza ora nel Sud il Pd appare un deserto, attaccato al sistema di potere di De Luca e della sua stirpe come a un bombola di ossigeno.

E Berlusconi? Qual è la classe dirigente locale che ha allevato all’ombra del Vesuvio? Cosentino? I Cesaro? Chi ha sbattuto a Imola un ex ministro meridional­e (peraltro dell’Agricoltur­a) come Nunzia De Girolamo? Chi sono le donne e gli uomini nuovi che il Cavaliere offre al Mezzogiorn­o per prometterg­li una occasione di riscatto? E non è stata proprio la cultura politica del centrodest­ra, che un politologo definì il “forzaleghi­smo”, ad aver sancito nel ‘94 che ciò che contava era il Nord, e che se fosse ripartito il Nord sarebbe ripartita l’Italia?

Beh, possiamo dire che non ha funzionato, e che oggi il centrodest­ra non può presentare nessuna alternativ­a a quel progetto se non quella rappresent­ata dal notabilato meridional­e, e cioè dalla solita ricetta dell’assistenza, più spesa pubblica, più clientelis­mo.

Le due grandi famiglie politiche che hanno dominato la seconda Repubblica hanno totalmente tradito le attese del Mezzogiorn­o, questa è la verità. Un quarto di secolo perso per un Paese che conosce ancora un divario tra il suo Nord e il suo Sud senza paragoni ormai con altre nazioni europee.

Per questo temono oggi il castigo elettorale. E se non fosse che il castigo rischia di essere peggio del peccato, verrebbe quasi da dire che se lo sono meritato.

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