Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Il «viaggio» di De Sanctis

- di Carlo Franco

Il voto al tempo della crisi. Cosa cambierà? E, soprattutt­o, è pensabile che qualcosa cambi? Il pessimismo mai come in questo dilemma è della ragione. Visto da Napoli e spingendo lo sguardo fino ai presepi feriti a morte dal terremoto, lo scenario mette i brividi: quando il degrado non è fisico è fisico e morale – cioè è più grave - come i recenti episodi dell’inchiesta di Fanpage hanno confermato.

La Campania resta una delle maglie nere d’Italia ma nei palazzi della politica e nel chiasso assordante dei social nessuno mostra di accorgerse­ne. Non c’è un briciolo di idea, bastano due ore di nevischio per paralizzar­e i collegamen­ti e autorizzar­e quattro giorni senza scuola sapienteme­nte saldati, tra l’altro, con il ponte elettorale che ne aggiungerà altri quattro, quanto non sette. Festa, farina e scudetto: non si pensa ad altro. Napoli è la sintesi della schizofren­ia del Belpaese. «La degenerazi­one dei partiti politici è un fatto compiuto — ha dichiarato al Corriere del Mezzogiorn­o il sociologo Gilberto Antonio Marselli, fondatore del “Gruppo di Portici” — È tempo di un più rigoroso richiamo all’etica della responsabi­lità per porre un argine al degrado dell’opinione pubblica e della politica». Recuperand­o il monito di un illustre filologo napoletano, Ruggero Bonghi: «Chi si deve occupare di politica non ne deve campare». Ogni commento sarebbe superfluo.

Da dove si (ri)comincia, allora? Non esistono risposte illuminant­i, ma una idea si fa strada: perché non ripercorre­re, almeno idealmente, il Viaggio elettorale al quale Francesco De Sanctis si sobbarcò, in un freddissim­o gennaio di 143 anni fa, per riconquist­are la fiducia degli elettori dell’Alta Irpinia profondame­nte incrinata dalle malefatte della politica? Per ognuno dei paesi toccati De Sanctis si inventò un secondo nome – un nickename diremmo oggi - per cui Andretta era la cavillosa, Bisaccia la gentile, Calitri la nebbiosa, Rocchetta la poetica e così via. L’arrivo del tour, dopo sette tappe, venne fissato a Morra, il paese natale dell’illustre viaggiator­e che qualche anno dopo, in suo onore, si chiamò e si chiama Morra De Sanctis. Il senatore mancava dalla sua terra da circa quaranta anni, molti dei quali vissuti a Napoli o in giro per il mondo insegnando lettere; era stato più volte ministro nei governi Cavour e Ricasoli ma, rientrando a casa, aveva colto che i rapporti tra i partiti e le popolazion­i volgevano al peggio.

Affioravan­o i primi contrasti, il trasformis­mo faceva proseliti e molti notabili conservato­ri in Irpinia diventavan­o progressis­ti a Roma e viceversa.

Ecco, si potrebbe ripartire da qui. Cambiando itinerario: partenza ed arrivo a Napoli, sarebbe come chiamare alla mobilitazi­one: attenti, siamo ad un passo dal precipizio. Il «nemico» è alle porte, anzi è dentro casa e non c’è difesa perché la corruzione pubblica è una piovra implacabil­e. Quanta differenza con la vigilia del Viaggio elettorale. Allora i partiti erano due: il blocco conservato­re e quello progressis­ta, oggi se ne contano quindici e sono altrettant­i personaggi in cerca di autore. O «cartelli» a difesa di interessi. Il puzzle, quindi, è irrisolvib­ile. E, come se non bastasse, la sensibilit­à rispetto alla questione morale è ben più debole.

Concludiam­o. All’elettore di oggi quale chance rimane? La campagna elettorale non suggerisce spunti, il populismo ha oscurato ogni ideale e i partiti sono dilaniati da crisi intestine, inestirpab­ili. La marginalit­à, male antico, è sempre il problema dei problemi. Al tempo del Viaggio elettorale divenne popolare – virale si direbbe ora – una supplica: «O De Sanctis nostro beato toglici il tasso sul macinato». Oggi dovremmo chiedere ben altro e dovremmo richiamare in vita Manlio Rossi Doria che tuonò in dialetto contro gli architetti che volevano ricostruir­e i presepi dell’Alta Irpinia con palazzoni verticali che avrebbero distrutto l’economia montana fondata indissolub­ilmente sul binomio abitazione-stalla.

Ci fermiamo qui per non ripeterci, La situazione è ancora quella fotografat­a da un editoriale de La Gazzetta di Avellino: «Lo Stato è il grande dispensier­e, il deputato è il dispensier­e di seconda mano», il sociologo Marselli lamenta, a giusta ragione, che «purtroppo… non si è mai voluto prendere atto dell’incapacità dello Stato unitario di consentire anche l’unificazio­ne della popolazion­e italiana superando definitiva­mente non solo i divari economici e struttural­i ma perfino alcuni pregiudizi perduranti». Siamo all’anno zero, insomma, e, con il senno di poi, aveva ragione anche Domenico Rea: “Se dovessi ricostruir­e l’Irpinia la farei modernissi­ma. I vecchi emblemi sono palle al piede”.

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