Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Lettera a un elettore «disincantato»
Caro elettore disincantato, so che ti saresti aspettato di essere chiamato disilluso, tuttavia il disincanto implica la privazione della speranza e della fiducia – esattamente come la disillusione – con l’aggiunta di un pregio che quest’ultima spesso tralascia, e che ti consente di vedere le cose così come stanno. E tu ormai, diciamocelo, hai l’età giusta per concederti il lusso di puntare all’imperscrutabile noumeno dei fenomeni. Sei anche disilluso, certo, ma soprattutto hai smarrito l’incanto. Innanzitutto, per la democrazia e per i suoi riti.
E per nozioni come voto popolare, governo del popolo, e per tutta quella sfilza di valori costituzionali che settantadue anni di pratica repubblicana – con una clamorosa impennata nell’ultimo quarto di secolo – hanno fin qui fiaccato. So come ti sei svegliato stamani. Sei in preda a un vago malessere, a una sensazione di fastidio, ti affligge il più classico dei cerchi alla testa. Non hai voglia di andare a votare. Aneli a startene a casa indifferente, vorresti che la cosa non ti riguardasse. Fosse per te non accenderesti nemmeno la tivù e sapere come va a finire. Di solito in pubblico li rimproveri, ma sotto sotto invidi quei giovani così abili nel fregarsene, nel rinunciare al diritto di voto con leggerezza, nel sostenere con individuabile sicumera che «tanto sono tutti uguali».
In fondo, vorresti essere come loro, vorresti fregartene. Eppure non ci riesci. Hai studiato su libri di carta sanguinanti l’inchiostro della Storia, e anche se hai un profilo Twitter e hai vissuto gran parte della vita al calduccio, le tue radici affondano in quel Novecento breve e intenso, così mostruoso da un lato, così pieno di speranze dall’altro. La sua aria ti ha forgiato le ossa, tu vieni da lì. Forse è questo ciò che più rimproveri alla politica oggi: ti ha re- so un uomo qualunque. E tu un uomo qualunque non lo sei mai stato, anzi, detestavi esserlo. Forse è vero, negli anni ti sei un po’ imborghesito, ma poi che male ci sarebbe in questa borghesia quando è vera e non truffaldina? Vieni da un contesto dove il dialetto andava a braccio con la violenza, dove il popolo non è mai stato popolo, ma un branco di sanfedisti, tutto sommato il progresso e un po’ di imborghesimento hanno migliorato le cose così come le hai conosciute agli esordi. Eppure, ti stai chiedendo mentre sorseggi il primo caffè della giornata, guarda a cosa ci hanno ridotto. «Quale libertà?» si sarebbe chiesto il buon vecchio Lenin. Votare per i nuovi inesperti o per la solita minestra praticona? Votare i ritornanti? I corrotti? I puri? I dissociati? Votare i giovani o i vecchi? Una donna o un uomo? Votare qualche moscia foglia di fico o i massimalisti col dono della chiarezza? Ormai è giunta l’ora, devi decidere se andrai al seggio o meno. Se parteciperai ancora una volta al suffragio. Senza illuderti, sia chiaro, magari pentendotene subito dopo. E sulla strada del ritorno, mentre rimesterai il solito pensiero astioso (negli ultimi tempi ne fai di parecchi), forse ti ricorderai dell’ultima volta che qualcuno o qualcosa ti ha incantato. Un amore, un viaggio, un libro, un’idea o il tuo miglior lavoro. Ne è passato di tempo.