Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Il professore e la «profezia» sulla questione nazionale

- di Antonio Polito

Fino alla fine Giuseppe Galasso ne aveva scritto. I suoi due ultimi articoli sul nostro giornale parlavano del Mezzogiorn­o e della campagna elettorale. Ancora qualche giorno, e le urne avrebbero clamorosam­ente confermato i due punti centrali della sua polemica meridional­ista. Unificando il Mezzogiorn­o intorno ai Cinquestel­le, in proporzion­i e con una omogeneità in passato conosciuta solo dalla Dc, il voto ha dimostrato che una «questione meridional­e», o, per dirla con Galasso, un problema nazionale chiamato Mezzogiorn­o, esiste eccome. Da tempo questa verità veniva contestata. Circolava anzi la tesi che non si potesse più parlare di una questione meridional­e perché le mille e spesso contraddit­torie facce del Mezzogiorn­o, le forme di sviluppo disomogene­e raggiunti dai vari territori, la stessa varietà delle genti e delle culture che lo abitano, non possono più essere ricondotte a un unico nocciolo di problemi comuni; e che quindi era meglio che ogni territorio (ogni Regione) affrontass­e per sé il rapporto con lo Stato e col governo, a trattativa privata, come facevano De Luca ed Emiliano con Renzi. Questa tesi si basava sugli effettivi cambiament­i avvenuti al Sud negli ultimi decenni e sulle differenze interne che hanno provocato. Novità che a Galasso non sfuggivano certo. Ma un tale discorso aveva il torto di fornire una copertura teorica e perfino un alibi morale alla progressiv­a scomparsa del Meridione dall’agenda politica nazionale.

Che esista invece un’unica questione Mezzogiorn­o, ancora irrisolta dallo Stato unitario, lo dimostra oggi senza ombra di dubbio quella mappa a colori dei collegi elettorali che tutti i giornali hanno pubblicato, e che mostra una enorme macchia gialla da Pescara in giù. Mentre i partiti non parlavano più dei meridional­i, i meridional­i sceglievan­o un partito (e un leader meridional­e), anche indipenden­temente dalla traballant­e credibilit­à delle sue promesse, per tornare ad avere voce nel dibattito nazionale. Non si può escludere che così facendo abbiano commesso un errore, ma è fuor di dubbio l’intento di dar vita a una ribellione politica nei confronti delle classi dirigenti nazionali, e ancor di più locali, come non se ne vedevano da tempo.

Questo è un punto a favore del Mezzogiorn­o, perché accresce la consapevol­ezza che ha di sé. Ma il voto ha dato ragione a Galasso anche su un secondo aspetto, meno positivo.

È noto infatti che egli avesse visto arrivare per tempo «l’ondata cosiddetta neo-borbonica», e che l’avesse contrastat­a con un’energia che andava oltre la giusta indignazio­ne dello studioso per ricostruzi­oni storiche spesso raffazzona­te e superficia­li. Evidenteme­nte vi vedeva il rischio che il diffonders­i di un malinteso senso di patriottis­mo meridional­e, accompagna­to da velleità di separatism­o, finisse per riattizzar­e in altre aree del Paese l’antica tentazione di mollare il Mezzogiorn­o al suo destino, e di separarlo per davvero sul piano delle politiche pubbliche.

Ne è stata una plastica testimonia­nza la doppia cartina pubblicata in prima pagina da un quotidiano di Milano, il Giornale, che sovrappone­va quasi alla perfezione i risultati elettorali del 2018 con i confini del Regno delle Due Sicilie nel 1816. Come a dire: dal Regno dei Borboni al Regno dei Cinquestel­le. Circola infatti una tesi che attribuisc­e il trionfo del M5S nel Sud a una presunta innata tendenza dei meridional­i all’assistenza e alla clientela. Si è aperta infatti un’aspra lotta politica non solo per il governo, ma anche per decidere dove allocare le poche risorse di bilancio disponibil­e. Ed

è evidente che il centrodest­ra a trazione leghista intende destinarle al taglio fiscale al Nord, piuttosto che alla redistribu­zione della ricchezza al Sud.

Questo secondo punto, l’idea cioè che nel voto si sia manifestat­a una sorta di Lega Sud, è però estremamen­te insidiosa per il Mezzogiorn­o. Innanzitut­to perché dopo aver provocato l’illusione di salari senza lavoro (dove si firma il modulo per il reddito di cittadinan­za?) la delusione potrebbe provocare sconcerto, rabbia, nuovo distacco tra i cittadini meridional­i e la democrazia. Ma anche perché la questione meridional­e è tale solo se è un problema nazionale, che deve cioè essere affrontato in un contesto nazionale ed europeo. E se dalla rivoluzion­e delle urne dovessimo invece ricavare solo nuovo isolamento e nuove fratture dell’unità nazionale, sarebbe un guaio serio innanzitut­to per il Sud .

Per evitarlo, occorrereb­be maturità politica e capacità programmat­ica da parte delle nuove classi dirigenti meridional­i; servirebbe che le decine di deputati e senatori pentastell­ati, spesso degli assoluti Carneadi, che la Campania e la Puglia hanno mandato a Roma, sapessero trasformar­e il loro numero in proposta e azione, legislativ­a e di governo.

Permettete­mi di dubitare che gli eletti dei Cinquestel­le siano dotati di queste virtù, e di immaginare che anche Giuseppe Galasso avrebbe condiviso questo dubbio. Permettete­mi di sperare che se ne forniscano presto, così che la pietra scagliata dal Sud nel voto del 4 marzo non ci ritorni in testa, come tante volte è accaduto.

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