Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Caro Galasso, caro Saraceno Il carteggio inedito sul Sud
Non erano d’accordo sull’intervento speciale a favore del Mezzogiorno, ma i due studiosi si stimarono e dialogarono a lungo
Si è agli inizi degli anni Settanta. Pasquale Saraceno, tra i protagonisti indiscussi del nuovo meridionalismo, è amareggiato per l’avvio dell’ordinamento regionale, anche alla luce delle proteste che si vanno manifestando in varie città del Mezzogiorno. E più in generale gli sembra che venga meno la centralità della questione meridionale nelle politiche economiche nazionali.
Le prese di posizione che il presidente della Svimez assume sono una netta difesa della strategia fino a quel momento perseguita, evidenziando in un saggio dell’estate del 1972 che il reddito pro-capite del Mezzogiorno si avvia a essere il triplo di quello del 1950, all’inizio dell’intervento straordinario per il Sud. Sono preoccupazioni contenute in una lettera del marzo 1972 che Saraceno scrive a Giuseppe Galasso (di cui domani cade il trigesimo): «Caro Professore, in occasione dell’ultimo nostro incontro per la commissione Petriccione, ricordo che ebbi a dire che il pensiero politico ed economico prevalente in Italia non ha ancora accettato, se non a parole, la priorità del problema del Mezzogiorno su tutti i problemi italiani». Ne è prova – secondo Saraceno – la scelta di subordinare l’azione del Mezzogiorno a un alto saggio di incremento del reddito nazionale. Ma subito dopo Saraceno ha parole di stima per il professore napoletano, facendogli omaggio di un suo scritto, in cui «come Lei rileverà», in più parti ha perduto «un po’ la pazienza».
Questa appena riportata è la prima di una serie di lettere fra i due meridionalisti conservate nel Fondo Saraceno presso l’Archivio Centrale dello Stato. Lettere che non sempre rivelano una concordanza di vedute, ma allo stesso tempo ammirazione e rispetto di opinioni l’un per l’altro. Il rapporto di amicizia si intensifica a metà anni Settanta: si danno ormai del tu. Nel maggio del 1975, Saraceno chiede a Galasso un aiuto affinché il Rapporto Svimez sia presentato alla Fondazione Premio Napoli, contemporaneamente alle considerazioni finali del Governatore della Banca d’Italia e alla pubblicazione di alcuni dei grandi rapporti annuali: quello di Confindustria, Confcommercio e Iri. Nel gennaio del 1976 è Galasso a manifestare la sua profonda stima per Saraceno: «Anche perché mi preme riaffermare sempre quel pochissimo in cui veramente credo a proposito di Mezzogiorno e di cui tu sei magna pars». Galasso mostra, però, aperto scetticismo sul rifinanziamento dell’intervento straordinario che di lì a qualche mese si andrà a varare: «Mi vado sempre più convincendo che tale intervento debba necessariamente trasformarsi in ordinario, se vorremo che esso abbia più profonda incisività».
Saraceno non è d’accordo, ma il dissenso non pregiudica il rapporto di grande cordialità e rispetto fra i due: «Che dire se non pregarti ancora una volta – scrive Saraceno – di darmi modo di chiacchierare tra noi? Le incertezze per il Mezzogiorno si vanno accumulando, più che per il resto del Paese. Ma chi se ne rende conto? Il risultato sarà amarissimo!» E così Galasso rende omaggio al meridionalista della Valtellina: «La recensione sull’Espresso esprime, come al solito, la mia viva ammirazione per te come per uno dei pochi che aveva tempestivamente capito qualcosa d’importante su questa nostra barca che una volta sembrava andare a gonfie vele e ora sembra affondare». E nello scusarsi con toni garbati per il mancato incontro, Galasso confessa l’esigenza di fissare al più presto l’appuntamento: «E credi pure che sento io il bisogno, per primo, di riordinarmi le idee sul Sud (e non solo su di esso) parlandone con “un’autorità”».
È denso di significato questo bisogno di confrontarsi, dialogare, senza avere tesi precostituite. Nel frattempo, la legge sul rifinanziamento della Cassa è approvata. La divergenza di opinioni rimane: eppure la stima è destinata ad accrescersi. Saraceno scrive: «Caro Galasso, avrai certamente rilevato che nel confuso e in sostanza sconfortante dibattito che oggi si svolge sui problemi del nostro paese, la questione meridionale non viene mai approfondita; non vi è dubbio invece che gli elementi non congiunturali in presenza dei quali ci si trova oggi introducano in essa aspetti nuovi. Si continua invece sul tema della regionalizzazione, che mi sembra una vera e propria evasione del problema; negli ultimi tempi ho avuto modo di preparare un testo sulla natura dello sviluppo italiano e quindi sul posto che vi ha la nostra questione, un testo che ha carattere storico, dato che esso prende le mosse dalle vicende che hanno inizio alla fine del secolo scorso, quando si avvia il nostro processo di indu-
strializzazione». Su un aspetto i due meridionalisti concordano: gli effetti negativi determinati dall’ordinamento regionale, sebbene Galasso ritenga che non si debba insistere sull’intervento straordinario, ma è necessario inquadrare la questione meridionale nell’ottica della pianificazione: «Ti dirò che la nuova legge sul Mezzogiorno non mi entusiasma. Sarà colpa mia: ma non riesco a capire quale sia la logica delle forze politiche non per quel che riguarda i tempi più brevi, bensì per quel che riguarda i tempi meno brevi e, soprattutto, i fini ultimi dell’azione meridionalistica. Tu hai mille volte ragione nel deprecare che ci si fissi con tanta monotona insistenza sulla regionalizzazione. È una falsa pista, così come lo è, a mio avviso, quella che batte sull’alternativa Cassa o non Cassa. Se noi avessimo un’idea chiara del tipo e degli obiettivi dell’azione che andiamo a propugnare, questi sarebbero problemi, come suol dirsi, di tattica. Io continuo a pensare che il problema vero è quello di un minimo di pianificazione nazionale, nel cui contesto inquadrare la politica per il Mezzogiorno». Il timore di Galasso è che le leggi speciali possano spingere a isolare il problema meridionale dal complesso dell’azione pubblica nazionale: «Perciò da più parti – scrive su “La Stampa” qualche mese dopo – si è richiesta e si richiede una risoluzione totale dell’azione per il Sud in quella più generale di governo e di direzione di tutta l’economia italiana nel suo insieme, rinunciando ad una equivoca e costosa specialità».
Ma è ancora evidente l’esigenza di dialogare, pur avendo opinioni diverse: «Ci riuniremo nei prossimi giorni tra amici – scrive Saraceno a Galasso una volta entrato in vigore il provvedimento di rifinanziamento dell’intervento straordinario – desiderosi di riflettere sui problemi aperti dalla nuova legge, fortunatamente approvata prima della terribile crisi che si sta aprendo. Saresti, come sempre del resto, il benvenuto tra noi». E, infine, un appuntamento a cui Saraceno tiene molto che Galasso partecipi: «Carissimo, mi ripromettevo di scriverti per pregarti di dare anche quest’anno il tuo contributo al “Rapporto sul Mezzogiorno” che, sulla base di un nostro testo, si terrà a Napoli il prossimo giugno». Invito che Galasso accetta dando risalto al rigore e alla ricchezza di dati del Rapporto Svimez. Ma il dissenso sarà destinato a evidenziarsi nuovamente in merito alla questione dell’impianto siderurgico di Gioia Tauro che vedrà Galasso contrario e Saraceno favorevole.
Tra i due meridionalisti, malgrado le posizioni non siano identiche, vi è convergenza. Al centro delle loro preoccupazioni vi è l’esigenza di definire una trasformazione del Mezzogiorno che vada oltre il mero dato quantitativo e si traduca in sostanziali mutamenti di carattere culturale e sociale. Non a caso Galasso, nel chiudere una relazione in occasione di un convegno a Salerno dedicato alla memoria di Saraceno, con parole acute e di forte sensibilità scriverà: «Per Saraceno lo sviluppo non era un valore in sé e per sé. Lo era, lo diventava in funzione dei valori alla cui promozione e realizzazione intendeva rispondere. Era qui, in questa tensione etica (colorita in lui da una sincera e intima religiosità) il senso del suo impegno intellettuale e pubblico». Parole che possono scaturire solo da una conoscenza appassionata delle persone, aspetto che ha sempre pervaso l’umanità e il modo di fare storia, nel presente e nella realtà viva degli uomini, del grande meridionalista napoletano.