Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Che prezzi alla Frescheria
Materia prima di qualità media, elaborazioni scadenti. E il conto è salato
Difficilmente considero il prezzo un elemento influente per la valutazione di un ristorante. La qualità, quando c’è, si paga e basta. Devo confessarvi però che spendere 101 euro per due antipasti, un primo, un secondo, un dolce e una bottiglia di vino alla Frescheria in via Fracanzano al Vomero mi ha dato un po’ fastidio. Significa che per un pasto completo (vino e un antipasto esclusi) si spendono più o meno 60 euro. Siamo nella maledetta terra di mezzo: né osteria, nè locale da esperienza indimenticabile. Materia prima di media qualità, elaborazioni inesistenti o sbagliate: davvero niente di che. Il locale è carino, colorato, ben illuminato. Il personale è gentile, ma non sempre all’altezza del ruolo. Per esempio, inutile insistere a chiedere delucidazioni sulla sboccatura di uno spumante. Primo antipasto, gamberi rossi di piccola taglia (1): code mollicce e teste tendenti al nero, cotti al vapore e accompagnati da una burrata che non è una burrata ma un caprino e riso basmati e quinoa (boh!). Migliore il tegamino arroventato con tocchetti di pesce (2): calamari di buona qualità, i succitati gamberi, uno scampo discreto, un filetto di orata evidentemente di allevamento e uno di tonno probabilmente conservato sotto vuoto. Il primo è un fuori carta: paccheri De Cecco (forse eccessivamente al dente anche per chi come il sottoscritto ama le cotture brevi) con datterini gialli e pomodorini del piennolo (3); due trancetti di coccio, certamente non di giornata, non cedono alcun sapore al piatto. Le alici imbottite di ricotta e friarielli e ricoperte di pane panko non sono untuose, ma sono caratterizzate eccessivamente dall’odore dell’olio di frittura. La crostata è dello chalet Ciro di Mergellina: pasta frolla inumidita, crema farinosa, fragoline buone.