Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Il Mezzogiorno e la riscoperta dell’assistenzialismo
Perfino Walter Veltroni (lui che per primo ha spostato «al centro» il suo Partito democratico a vocazione maggioritaria) ha attribuito la responsabilità della sconfitta alla «perdita» di «quello che la sinistra non può perdere: il rapporto con il popolo». E un po’ tutti, nel partito in via di
derenzizzazione, sono oramai più o meno su questa linea, compreso il reggente Maurizio Martina che ha detto: «Ripartiamo con umiltà e unità… Ripartiamo dal nostro popolo».
Ci si propone quindi di ricostruire un rapporto di rappresentanza che negli ultimi anni, inseguendo lobbie e interessi forti, si era smarrito.
È un intento lodevole (anche se tardivo), ma bisognerà vedere come sarà declinato concretamente nel Mezzogiorno dove, tradizionalmente, il concetto di «rappresentanza politica» si intreccia con la logica del favore e delle clientele, e dove è sempre forte la tentazione di tornare a quelle politiche assistenziali che tanto male hanno fatto.
D’altronde – notava Gaetano Salvemini –, tra i «vizi» dei piccoli borghesi meridionali, ci sono l’esaltazione della «raccomandazione» e la dipendenza dalla politica. «Per essi — scriveva il grande meridionalista — non esiste nessuna scala di valori morali obiettivi. Il merito consiste nell’avere un protettore». Al Sud c’è davvero voglia di assistenza. Il successo del M5s si deve certamente alla ribellione contro la casta e ad una forte domanda di nuova rappresentanza politica, ma i discorsi che ascolto nell’osteria di Rivello (il paese lucano dove cerco di trascorrere la gran parte del mio tempo) riguardano molto – piaccia o meno ai dirigenti del Movimento – il reddito di cittadinanza, visto un po’ come una variante delle rimpiante pensioni di invalidità (fasulla). E cos’altro sono, se non una richiesta di assistenza, le ricorrenti mobilitazioni dell’Amministrazione comunale per ottenere leggi speciali che mettano una pezza ai suoi pasticci di gestione, e «salvino Napoli»?
Il vero interprete di questa riscoperta dell’assistenzialismo è senz’altro, però, il governatore Vincenzo De Luca. A partire dalla pubblica esaltazione degli «80 euro» (la prima delle regalie elettorali di Renzi), che ha definito «l’ultimo atto politico vicino ai cittadini», fino — da ultimo — al lancio del suo «piano per 200.000 posti di lavoro per il Sud», collocato in cima al suo programma per i prossimi mesi.
De Luca non ci apparve tuttavia altrettanto sensibile, quando il governo Renzi tagliò drasticamente gli incentivi alle fonti di energia rinnovabili (aumentando quelle per i combustibili fossili) e provocò in tal modo una riduzione di circa 4.000 posti di lavoro nell’eolico. Non è un mistero che vento e sole siano una risorsa del Mezzogiorno, e una politica attenta al Sud (e all’ambiente) dovrebbe privilegiare lo sfruttamento di tali risorse piuttosto che potenziare trivellazioni care più o meno solo alle lobbie del petrolio. Né ci è parso che il governatore abbia mai protestato perché il Mezzogiorno non ha una rete ferroviaria decente (la Lucania ne è del tutto priva e la Circumvesuviana è tra le peggiori tratte ferroviarie d’Italia), non ha una efficiente rete di connessione internet, non ha insomma le infrastrutture indispensabili allo sviluppo. Intervenire in questi settori non è fare qualcosa di «speciale» per il Sud, perché l’Italia intera si gioverebbe di un Sud economicamente più dinamico. Scriveva Gramsci nel 1916: «Il Mezzogiorno non ha bisogno di leggi speciali e di trattamenti speciali. Ha bisogno di una politica generale, estera ed interna, che sia ispirata al rispetto dei bisogni generali del paese, e non di particolari tendenze politiche o regionali». De Luca propugna invece misure di emergenza, che saranno magari una boccata di ossigeno per le famiglie ma non risolvono i problemi strutturali. E – quel che è peggio - enfatizzano il ruolo peggiore dell’intermediazione politica.
Praticamente una manna per notabili in crisi di consenso.